Ron Mueck l’artista più vero del vero

 Ci sono artisti che preferiscono filtrare la realtà attraverso le lenti dell’inconscio, generando forme astratte od espressioniste. Altri invece raffigurano la realtà come dato oggettivo. Tra queste due categorie si bilancia Ron Mueck, artista celebre e stravagante che raffigura la realtà ed in specifico la condizione umana per il suo lato surreale e debordante ma pur sempre veritiero.

“Fin dal suo ingresso nella scena dell’arte internazionale, Mueck  ha continuato a stupire ed affascinare il pubblico con le sue realistiche, sculture figurative. Adesso l’artista occupa un posto unico ed importante nel campo dell’arte contemporanea di tutto il mondo” Ha dichiarato Frances Lindsay direttore della National Gallery. Secondo il noto curatore australiano David Hurlston, Ron Mueck riesce ad illustrane l’uomo dalla nascita fino alla sua morte, creando sculture senza tempo che rappresentano ritratti psicologici di intenistà emotiva e di isolamento.

La pittura ha ancora un senso

Le possibilità espressive e creative delle arti visive hanno subito una rapida espansione durante il corso del ventesimo secolo, Marcel Duchamp ha inventato il ready made e successivamente nel corso degli anni sessanta e settanta il proliferare di nuove tecniche come l’installazione, la performance, la land art, la body art, la video arte e la fotografia (non ultima quella digitale) sembravano aver dichiarato a morte la pittura.

Eppure negli scorsi anni la pittura ha incominciato un lento ma inesorabile cammino di ritorno riguadagnando prestigio tra collezionisti ed istituzioni e riconfermandosi regina di aste e compravendite di mercato. Ne aveva avuto il sentore il Centre Pompidou di Parigi nel 2002, presentando la mostra Cher Peintre, Lieber Maler, Dear Painter e profetizzando il ritorno ad una certa forma di pittura figurativa. Successivamente tra il 2004 ed il 2005 Charles Saatchi presentò a Londra una serie di tre mostre intitolate The Triumph of Painting.

Quando il pubblico si annoia

Molti magazine d’arte contemporanea internazionali e non, hanno in queste ultime settimane lanciato un dialogo sull’allontanamento del pubblico da mostre ed affini. Questo proficuo dibattito è sorto spontaneamente in ogni parte del globo, segno evidente che la necessità di ritrovare ciò che si è perso per strada è quanto mai universale. Due grandi voci come Charles Saatchi e Jerry Saltz hanno inoltre raccolto il sentimento comune, convogliando alcune lamentele che sino ad ora erano comparse su alcune testate e rilanciate da alcuni critici.

Saatchi e Saltz si sono scagliati contro l’arte da avanspettacolo, contro la noia imperante e contro la trasformazione dei musei in anfiteatri dediti ad attività circensi per racimolare un sempre più vasto bacino di pubblico. Ed allora dove risiede il punto di equilibrio? Dove trovare la giusta via di mezzo capace di rappresentare il giusto connubio tra sperimentazione e fascino? Saltz ha inesorabilmente stroncato il “parco dei divertimenti” architettato da Carsten Höller per il New Museum e la mega retrospettiva di Maurizio Cattelan al Guggenheim (ambedue a New York) ma è inutile negare che entrambi gli eventi hanno sbancato al botteghino, consegnando alle due istituzione il record di ingressi.

Charles Saatchi, la società dello spettacolo e l’arte in rovina

 “Sono cresciuto a pane e spettacolo, adoro l’esibizionismo ma questo mondo dell’arte è divenuto troppo esibizionista e troppo spettacolare anche per uno come me. Mi chiedo se i grandi collezionisti siano ancora innamorati dell’arte contemporanea o siano solo pronti ad ostentarla nelle loro ricche case. Curatori e galleristi invece sono privi di coraggio ed intuizione. Preferiscono esporre video noiosi ed opere post-concettuali incomprensibili”.

Queste parole comparse pochi giorni or sono sul Guardian sono di Charles Saatchi, uno dei più grandi squali del mercato dell’arte nonché ideatore della generazione Young British Artists. Parole dure ma sensate, eppure vien da sorridere se si pensa che è stato proprio il celebre dealer, una ventina di anni fa, ad inaugurare una lunga stagione costellata da opere spettacolari, votate allo spettacolo. Il boomerang lanciato da Saatchi è rimbalzato pericolosamente all’indietro, finendo per colpire il suo ignaro padrone. Oggi il povero Charles sembra aver aperto improvvisamente gli occhi, mettendosi a riflettere su ciò che fra le nostre pagine si discute ormai da tempo immemore.

A noi piace la ICA

ICA è uno degli istituti di arte contemporanea più prestigiosi dell’intero globo. Il centro fu istituito nel 1946, con l’obiettivo di creare uno spazio di dibattito al di fuori della Royal Academy per artisti, musicisti e scrittori. Nel corso degli anni l’ICA ha contribuito a generare diversi miti dell’arte contemporanea come ad esempio la nascita della Pop Art con l’Independent Group e le mostre di Damien Hirst (che proprio all’ICA inaugurò la sua prima mostra in uno spazio pubblico), Jake & Dinos Chapman, Vanessa Beecroft e tantissimi altri.

Tra gli eventi storici ospitati dall’ICA va inoltre ricordata la prima proiezione del film Hurlements en Faveur de Sade di Guy Debord che causò non poche rivolte nel mondo dell’arte. Insomma questo polo culturale sito nei pressi di Trafalgar Square funziona come punto di congiunzione tra l’arte emergente e la scena vera e propria. L’ICA è inoltre teatro dell’exhibition annuale New Contemporaries, dove i neolaureati possono stupire il pubblico con le loro creazioni.

Supermarket dell’arte in crisi? Gagosian chiude il suo Store di Madison Avenue

 Quella del supermaket dell’arte contemporanea è oramai divenuta una vera e propria moda all’interno di un sistema sempre più alla disperata ricerca di soluzioni per un mercato stitico. Teorizzato da Charles Saatchi e messo in pratica da Larry Gagosian, l’art supermarket è il nomignolo attribuibile alle attività di dealers internazionali che decidono di aprire numerose sedi in tutte le parti del globo, colonizzandolo alla stregua di una partita a Risiko.

Il supermarket dell’arte non rappresenta però un reale tempio dell’arte, in quanto è facile trovarvi opere costosissime di artisti-meteore che scompaiono così come erano apparsi, in un battibaleno. Ne consegue che per i poveri collezionisti, turlupinati da quotazioni fuori dal mercato, si prospetta un magro futuro all’interno del quale vendere l’opera dell’ex artista del momento rappresenta una titanica impresa. Il mito del supermarket dell’arte è però una chimera che potrebbe trasformarsi in un brutto sogno, visto che a forza di espandersi si rischia di far la fine di Napoleone in Russia. In questi ultimi giorni è inoltre accaduto un fatto molto strano: proprio il colosso Gagosian ha fatto registrare una singolare battuta d’arresto.

Lehman Brothers vende la sua collezione ma nessuno vuole Damien Hirst

Che la fine della bolla speculativa dell’arte contemporanea fosse legata al tracollo finanziario della Lehman Brothers lo sapevamo tutti ed anche Globartmag ha più volte parlato di questa delicata questione che ha letteralmente sovvertito le regole di un mercato dell’arte a dir poco pirotecnico il quale fino al 2008 aveva fatto registrare cifre surreali ed in crescita esponenziale.

Oggi però possiamo proclamare a gran voce che il mercato dell’arte si sta velocemente ridimensionando e che la bolla speculativa ha mietuto importanti vittime le quali stentano a riprendersi dai burrascosi eventi. Tali conclusioni sono tratte dall’ultima asta che Sotheby’s ha organizzato utilizzando la collezione di opere proveniente dalla Lehman Brothers e da Neuberger Barman. Ebbene mentre la vendita di molte opere è andata veramente bene, quando il turno è toccato a Damien Hirst, altro grande simbolo della bolla dell’arte, si sono registrati risultati a dir poco catastrofici. Hirst è stranamente legato a Lehman, visto che nel giorno della bancarotta del brand, esattamente il 15 settembre del 2008, l’artista organizzò una vendita all’asta delle sue opere che gli fruttò ben 198 milioni di dollari, record assoluto per un singolo artista.

Saatchi si ritira e dona la sua Gallery alla città di Londra

Charles Saatchi ne ha combinata un’altra delle sue ma stavolta a fin di bene. Il celebre mercante d’arte, nonché vero e proprio motore della Young British Artists, ha infatti incredibilmente deciso ritirarsi dalle scene di donare al Regno di Inghilterra la sua Saatchi Gallery di Londra. Quindi prossimamente la celebre galleria diventerà Il London Museum Of Contemporary Art, unendosi così ad altri prestigiosi musei del contemporaneo sparsi per il mondo. Sicuramente i cittadini britannici saranno contenti di questa scelta e l’edificio di per sé è un bellissimo spazio dedicato all’arte che ogni hanno riesce a raggiungere un vasto bacino di visitatori.

Ovviamente in tutto questo rotear di baci ed abbracci, sorge una questione assai spigolosa. Il problema è grosso modo lo stesso che abbiamo noi in Italia (e che Globartmag ha sollevato mesi fa parlando del Maxxi) e sarebbe a dire la collezione permanente del museo. In tutti questi anni la Saatchi Gallery, nella speranza di scoprire nuovi e scintillanti talenti, ha organizzato un’enorme quantità di mostre con molte buone opere ed un mare di manifestazioni creative decisamente mediocri, mettendo in luce una linea espositiva incoerente e frammentata.

La stampa contro Charles Saatchi e la sua nuova mostra

 Fioccano le critiche per l’ultima mostra organizzata da Charles Saatchi nella suo quartier generale di Londra. Come precedentemente accennato in un nostro articolo, il magnate ha tentato di bissare il successo della generazione Young British Artists, manipolo di artisti assemblati a mestiere negli anni ’90 per raggiungere le vette dell’arte. In quegli anni Tracey Emin, Steve McQueen, Tacita Dean, Liam Gillick, Damien Hirst e CHris Ofili, assieme a tante altre stars del contemporaneo hanno raggiunto quotazioni incredibili, catapultando Saatchi nel gotha del mercato dell’arte.

Oggi, dopo la crisi finanziaria, la fine della bolla speculativa dell’arte e l’avvento delle nuove generazioni artistiche, l’impresa del ricco mercante sembra decisamente ardua e come da copione la mostra dal titolo orwelliano Newspeak: British Art Now (in visione appunto alla Saatchi Gallery dal 30 maggio al 17 ottobre) ha mancato rovinosamente il bersaglio.  Il prestigioso quotidiano inglese The Guardian ha definito l’evento come un confuso assortimento di opere “alle volte buone, spesso cattive e per la maggior parte anonime”. Il quotidiano si è inoltre scagliato contro il catalogo della mostra apostrofandolo come “orrido ed incomprensibile”.

Saatchi alla riscossa ma la YBA generation è irripetibile

E’ un collezionista, un art dealer ma soprattutto è stato il creatore di una nuova generazione artistica. Stiamo ovviamente parlando di Charles Saatchi, mogul dell’arte contemporanea che negli anni ’90 ha creato dal nulla la generazione degli Young British Artists, portando in auge nomi come Tracey Emin, Damien Hirst, Steve McQueen, Chris Ofili, Marc Quinn, Jenny Saville, Georgina Starr e Sam Taylor-Wood, tanto per citarne alcuni ma la lista sarebbe ancora lunga. Prima di allora, salvo sporadici sprazzi (anche se fondamentali) come l’Independent Group precursore della Pop Art, il Regno Unito non vantava certo molti primati all’interno della scena dell’arte contemporanea.

Insomma il vecchio Saatchi ha trasformato la sua nazione in un polo artistico capace di catalizzare l’interno mercato mondiale. Sono però passati 13 anni dalla celebre mostra Sensation e da quella stagione di gloria che si  è comunque protratta nel tempo ed oggi i protagonisti della YBA sono artisti maturi ed affermati che hanno intrapreso le loro strade. Saatchi ha continuato la sua attività di scouting e scopritore di talenti, aprendo anche un sito web, organizzando concorsi e persino talent show. A distanza di tutti questi anni il magnate ha quindi tentato di bissare il successo della stagione d’oro ma con alterne fortune.

L’Ikea Art ed il problema dell’unicità dell’opera

Abbiamo più volte espresso le nostre opinioni (discutendone anche con il celebre blogger Luca Rossi) sull’Ikea Art, ovvero sulla creatività uniformata che in questi anni sembra spadroneggiare in tutto il mondo. I nuovi artisti modello Ikea creano le loro opere ispirandosi ad un minimalismo concettuale che strizza pericolosamente l’occhio al design svedese. In tutto ciò ovviamente ogni appiglio filosofico diviene puramente pretestuoso e l’opera diviene sempre più simile ad un oggetto di consumo o ad un semplice complemento d’arredo. E se questa fosse la nuova forma creativa del 2000? così ferocemente presi dall’impeto critico non avevamo pensato a tale eventualità, magari fra uno sbadiglio e l’altro l’Ikea Art potrebbe anche nascondere il suo fascino e segnare l’inizio di una nuova corrente artistica. L’identita seriale dell’Ikea Art o dell’arte facilmente riproducibile in genere potrebbe però nascondere molte insidie legate all’unicità dell’opera.

Negli ultimi tempi  molti siti web vendono stampe di celebri artisti contemporanei con prezzi alla portata di tutti, proprio come se si trattasse di quelle cornici già dotate di foto che la nota azienda svedese di mobili mette in vendita all’interno di tutti i suoi megastore. La domanda che vi vorremmo porre è quindi questa: Può l’esistenza di migliaia di copie rendere l’opera un semplice oggetto senza valore? La risposta è probabilmente si, anche se stiamo parlando di repliche ovviamente non siglate dall’artista in persona, non autenticate, ma cosa succederebbe se fosse possibile ricreare l’opera originale?

Chris Ofili, l’artista che ha combattuto il successo

 Qualche anno dopo aver vinto il Turner Prize edizione 1998, Chris Ofili era in un negozio di Londra per comprare una grande quantità di colori. Una volta giunto alla cassa uno studente in fila dietro di lui gli chiese: “Ma tu sei Chris Ofili? alla scuola d’arte tutti dicono che hai smesso di dipingere“.
Ofili fu deliziato da quella domanda, così sorrise e disse: “Torna dai tuoi amici e digli che ho definitivamente smesso di dipingere, ma non dirgli che mi hai visto comprare tutti questi colori, altrimenti non ti crederanno”.

Chris Ofili, oggi 41enne, ha sempre combattuto contro il successo che per lui, a differenza di tutti gli altri artisti emergenti del mondo, è giunto sin da subito. Prima di compiere 30 anni l’artista aveva già esposto in 3 continenti con mostre personali a Londra, New York e Berlino. Ofili faceva inoltre parte degli Young British Artists di Charles Saatchi ed aveva vinto, come già detto il Turner Prize. Infine l’artista aveva partecipato alla 50esima Biennale di Venezia, occupando in pompa magna il padiglione britannico.

Conrad Shawcross, il nuovo talento londinese con le spalle coperte

La IBM – International Business Machines, celebre azienda americana di computer ospiterà nei suoi locali di New York una bizzarra scultura. Nel mese di maggio 2010 verrà infatti installata una sorta di macchina costruita con acciaio e legno che annoderà dei fili formando una corda. L’opera presentata dalla galleria PaceWildenstein è una creazione dell’artista inglese Conrad Shawcross. Una simile opera titolata Chord ed installata per tutto il mese di novembre nella Kingsway tramway station di Londra è stata successivamente venduta dalla Victoria Miro Gallery per la ragguardevole cifra di 390.000 dollari.

“La mia ricerca ha a che vedere con il tempo, lo spazio e la cosmologia, i rocchetti di filo che formano lentamente la corda possono esser letti come pianeti che trascorrono una loro linea temporale all’interno della loro storia collettiva. Ma le possibilità interpretative sono assai vaste, molto spetta allo spettatore”. Ha dichiarato l’artista in una recente intervista. Le corde sono alla base della sperimentazione di Conrad Shawcross come in Nervous System (2003) installazione presentata in occasione della sua prima mostra personale. L’opera fu successivamente acquistata dal celeberrimo Charles Saatchi e questo fu un vero e proprio colpo di fortuna per l’artista ancora ventenne che vide schizzare le sue quotazioni in un battibaleno.

Charles Saatchi ed i suoi allievi dalla Tv all’Hermitage di Sanpietroburgo

 Charles Saatchi ha deciso di lanciare una nuova iniziativa al giorno, il vulcanico magnate dell’arte ha infatti deciso di selezionare un artista fra sei partecipanti e farlo esporre niente meno che all’ Hermitage di Sanpietroburgo. Inoltre il fortunato giovane artista potrà usufruire gratuitamente di uno studio a Londra per tre anni. La selezione avverrà direttamente su School Of Saatchi, programma in onda sulla BBC che si concluderà il prossimo 14 Dicembre. Il vincitore di questo talent show entrerà di diritto nella mostra  Newspeak: British Art Now attualmente ospitata dall’Hermitage.

In realtà l’opera del vincitore è già presente alla mostra ma è stata presentata in forma anonima, il nome del suo creatore sarà reso noto solo nella serata finale del programma.  “Charles è stato veramente entusiasta di questo format per la Tv”, ha dichiarato Rebecca Wilson direttore dell’area sviluppo della Saatchi Gallery “C’è sempre una strana reazione quando si guarda un’opera di arte concettuale, molte persone a riguardo pensano: quest’opera poteva farla anche mio figlio di 4 anni. Questa serie televisiva ci offre quindi l’opportunità di ascoltare l’artista ed aiuta le persone a capire il processo creativo che ha portato all’esecuzione dell’opera”. 

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