Le (solite) frasi dell’arte

 Il linguaggio ha i suoi meccanismi e quando si entra nello specifico è possibile scoprire un mondo di sottoinsiemi che in sostanza regolano il nostro modo di esprimerci. A volte però questi meccanismi, queste consuetudini finiscono per trasformare ogni conversazione ed ogni scritto in una serie di luoghi comuni assai buffi. Prendete ad esempio le interviste agli allenatori di calcio, anche se la loro squadra è destinata a scontrarsi con l’ultima in classifica, le loro dichiarazioni saranno sempre caratterizzate da un turbinio di frasi del tipo “Sarà una partita dura, non esistono più le squadre cuscinetto, loro cercano il riscatto e ci daranno filo da torcere”.

Ebbene signori non stupitevi più di tanto poichè questi meccanismi sono largamente utilizzati anche nel mondo dell’arte contemporanea e molto spesso giornalisti, critici e storici rimangono impigliati in frasi circostanziali che oramai hanno perso significato, che non comunicano più nulla e proprio per il loro largo uso finiscono per distrarre il lettore.  Andiamo a vedere quali sono i termini e le frasi più gettonate all’interno di testi e discorsi d’arte:

Alcune note contro la noia imperante

 In queste pagine si è più volte parlato della nuova creatività italiana e vorrei ribadire quanto l’arte giovane rappresenti la nostra unica risorsa per tentare di emergere dallo stato di torpore in cui versa la scena dell’arte contemporanea nostrana. Eppure se da un lato i nostri artisti sono stretti da una morsa istituzionale che ne appiattisce la creatività e ne limita l’azione, dall’altro anche la proposta creativa dovrebbe iniziare a mostrare i denti e non cedere il fianco a chi punta all’uniformazione.

Va da sé che le fondazioni ed i musei sono orientati verso artisti dotati di curriculum o comunque trainati da importanti cordate. Galleristi e curatori dal canto loro operano lo stesso criterio di selezione con l’eccezione che ogni tanto riescono a mettere in evidenza qualche talento verace. Il vero problema è che tutti sono orientati a seguire un modello estetico internazionale con la convinzione che questo sia una panacea in grado di far vendere o comunque donar prestigio, quando invece non ci si accorge che scimmiottando forme creative del passato o di altre nazioni si genera solamente un inutile prodotto complementare.

In Italia si può ancora sperare nell’arte? Forse si

Dopo un secolo come quello passato che ha visto nascere avanguardie e sperimentazioni artistiche di ogni sorta, ci troviamo oggi con il fiato corto, sfiancati forse dalle troppe tecnologie che concedono a tutti infinite possibilità e non pongono limiti da superare. La colpa di questa atonia generale è attribuibile anche ad un sistema dell’arte che troppo spesso mira a far emergere il curriculum dei giovani artisti piuttosto che la loro visione creativa. Del resto bloccati come siamo in polemiche inutili, balletti per le poltrone dei musei e lotte per un tozzo di pane ci ritroviamo ad assistere passivamente ad una creatività caratterizzata dall’eterno ritorno del Pop, dell’Arte Concettuale e di una certa estetica noiosa ma condivisa che predilige l’equivoco e l’androgino, proponendo l’illusione del mistero e manifestando invece il trionfo del pretesto e della banalità.

In Italia non riusciamo a renderci conto che forse abbiamo lasciato per strada spontaneità ed irruenza, aggressività e drammaticità, ironia e gusto, in sostanza abbiamo totalmente perso la bussola ed il campo base è ancora lontano. Per fare un esempio di questa confusione imperante, giusto qualche anno or sono la nazione ha celebrato in lungo ed in largo il centenario del Futurismo, sbandierandone gli intenti anche nel Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Ebbene ad esser sinceri del Futurismo non se ne è vista nemmeno l’ombra, nulla in grado di cogliere una seppur minima scintilla di tale movimento che ha positivamente infettato arti visive, letteratura e teatro, fino a gettare le basi della musica elettronica con Luigi Russolo.

L’arte contemporanea italiana è la società dello spettacolo

 In tempi non sospetti il celebre pensatore ed artista Guy Debord ci aveva messo in guardia contro il potere dello spettacolo, un rapporto sociale e culturale tra individui mediato da immagini vuote e figlie del consumismo di massa, una sorta di assoggettamento psicologico in cui ogni individuo è isolato dagli altri ed assiste passivamente ad un monologo elogiativo dello spettacolo stesso. Ovviamente per spettacolo intendiamo riassumere in questa sede il sistema dell’arte contemporanea italiano e tra i burattinai di questo enorme carrozzone, oltre le istituzioni, figurano anche i curatori d’arte, specificando che persino la scrivente potrebbe tranquillamente farne volontariamente od involontariamente parte.

Ma andiamo per gradi ed analizziamo in cosa consiste questo spettacolo. L’opera d’arte, un tempo padrona assoluta della manifestazione creativa dell’uomo è divenuta un accessorio, un semplice orpello schiavo di estetiche e stilemi propri di un minimalismo banale e di un concettuale svuotato da ogni minimo concetto. Eppure l’opera è un accessorio indispensabile, poiché senza di essa l’artista non esisterebbe ed il curatore non potrebbe organizzare il suo bell’evento. L’opera e l’artista o per meglio dire l’artista è l’opera dato che quest’ultima nella sua flebile natura, viene inevitabilmente sommersa dalla presenza ingombrante di artisti pseudo-rockstar che incessantemente appaiono sulle copertine dei magazine d’arte e puntualmente vincono i premi artistici con il loro curriculum od il loro nome.

Jonathan Jones e l’importanza della critica

Girovagando per la rete abbiamo trovato un’altra piccola perla del nostro critico preferito, Jonathan Jones che come abbiamo più volte detto cura un interessante blog sul The Guardian. Parlando del sistema dell’arte odierno, Jones si interroga sul contributo della critica come sviluppo della cultura stessa. Le sue parole si riallacciano alla nostra già nota crociata contro “il tutto è bello tutto ci piace” della non critica contemporanea che sta letteralmente creando un livellamento culturale ed estetico che rischia di minare l’essenza dello sviluppo artistico. Citiamo letteralmente le parole di Jonathan Jones:

“Penso che questo sia il momento giusto per tornare a parlare di critica, perché se ne sente il bisogno effettivo. Lo sfrenato volume di arte in una cultura ossessionata dalle gallerie è un mare talmente vasto e confuso che solamente una giusta critica può fare la differenza. Non possiamo continuare ad affermare che tutto ha lo stesso valore, è il momento di rialzarsi e scindere ciò che è buono da ciò che non lo è.

Il tracollo dell’arte contemporanea e della cultura moderna

Qualcuno lo ha apostrofato come il sistema destinato a cadere: il capitalismo o il capitalismo post-moderno ed i suoi mercati secondari hanno creato una contro realtà ingrassata dalla produzione. L’economia moderna è come un parco giochi ed è evidente come l’arte degli ultimi venti anni abbia attinto a questo sogno ad occhi aperti rifiutando ogni forma di vera creatività.

L’arte è divenuta lo specchio della frode e non è tutto dovuto al teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst, si tratta di un processo che ha avuto origine con la società del consumismo.

Il cuore rivelatore (del gallerista in fiera)

Come è andata la fiera? La domanda diventa sempre più incalzante, la cravatta sempre più stretta ed il rivolo di sudore già inizia a solcare la fronte lucida. Il gallerista indeciso si volta a rimirar le opere in mostra sulla parete di cartongesso e non scorge alcun bollino rosso. Un dubbio l’assale,  anche l’intervistatore ha notato l’assenza di bollini e di certo non si priverà del piacere di torturare il povero dealer. La risposta rimbalza fra i denti e si bagna tra la saliva ma stenta ad uscire.

Chi critica la critica?

A volte la critica si sbaglia e quando lo fa, prende delle cantonate assurde. Anzi, la frase più corretta sarebbe questa: la critica si sbaglia. Si sbaglia nel suo buonismo ma anche nel suo voler per forza stroncare opere ed artisti che in seguito riescono a sovvertire il risultato, portando a casa la vittoria finale.

Ma il crowdfunding funziona veramente?

Nelle nostre pagine abbiamo più volte parlato delle piattaforme di crowdfunding, vale a dire dei siti internet dove è possibile illustrare il proprio progetto che verrà in seguito realizzato grazie a piccole o grandi donazioni da parte del popolo della rete. Grazie a websites com IndieGogo e Kickstarter, l’artista o il creativo squattrinato può presentare un suo progetto e farsi aiutare dagli utenti per la realizzazione dello stesso. In cambio l’artista mette sul piatto una serie di gadgets, stampe o quanto altro in base all’entità economica della sovvenzione di ogni singolo utente.

In Italia il crowdfunding è ancora in via di sviluppo, anche perché l’immaginario collettivo è saldamente ancorato alle vecchie sovvenzioni statali ed al fantomatico “impresario” che prima o poi scoprirà il nostro talento creativo. Eppure anche dalle nostre parti sono comparsi alcuni websites come Cineama ed Eppela, vere e proprie piattaforme di crowdfunding all’italiana che pian pianino stanno aprendo un varco in questa generazione 2.0 del fundraising. Ora però la domanda è la seguente:

Confrontations – Tate Modern vs MAXXI

Estate, tempo di vacanze. Ovviamente anche per chi abita al di fuori dei nostri confini è giunto il momento di visitare l’Italia, meta turistica di molti stranieri. Il reale problema è che mentre l’offerta culturale degli altri paesi è assai ricca anche d’estate, dalle nostre parti lo scenario è semplicemente devastante. Ebbene, nel corso di questa estate rovente vorremmo inaugurare una piccola serie a puntate intitolata Confrontations vale a dire un piccolo giochino che abbiamo inaugurato qualche anno fa sulle pagine del nostro blog.

Si tratta di un confronto all’americana tra le offerte culturali di due prestigiose istituzioni, una straniera e l’altra italiana. Alla fine della nostra breve avventura  sarà più facile comprendere il peso della nostra cultura contemporanea e l’utilizzo finale dei fondi stanziati dai contribuenti a favore della stessa. Iniziamo da due pezzi da novanta, la Tate Modern di Londra ed il MAXXI di Roma, attualmente al centro di una triste vicenda relativa alla danza di poltrone al vertice.

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