Fare sistema è impossibile se l’invidia impera

Il mondo dell’arte contemporanea nostrano ha un disperato bisogno di partecipazione ed energie positive. Detto così sembra facile ma vi assicuro che all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana è molto difficile ottenere questi due elementi alchemici. Ma per quale motivo è impossibile generare energie positive e partecipazione? Beh perché dalle nostre parti l’invidia tra gli addetti al settore impedisce una serena crescita del sistema, ma facciamo un esempio pratico.

Partiamo quindi da una mostra, una delle tante organizzate da un curatore della vostra città. La mostra si tiene in un museo pubblico e vi partecipano un buon numero di artisti. Al momento dell’inaugurazione tutti gli addetti del settore della città si recheranno all’evento e già dopo pochi minuti dal fischio d’inizio cominceranno la loro danza della pioggia.

David Cronemberg bissa il flop con Cosmopolis

Quel geniaccio di David Cronemberg non ha certo bisogno di presentazioni, alcune sue pellicole come Scanners, Videodrome, La mosca, Inseparabili, Il Pasto nudo e Spider possono bastare ad annoverare il suo nome nei libri di storia del cinema e non solo. A volte però anche i geni infallibili prendono incredibili cantonate, sarebbe a dire le classiche eccezioni che confermano la regola.

Il nostro Cronemberg, dopo aver sfornato un capolavoro come La promessa dell’assassino, ha poi prodotto un’opera alquanto discutibile e prolissa come A Dangerous Method. C’era quindi molta attesa per questo Cosmopolis, ultima fatica del regista canadese tratta dall’omonimo romanzo di Don DeLillo. Attesa che in parte è stata tradita dall’estrema complessità di un film che a volte si annoda su sé stesso.

Video arte, grande assente della rete

Difficile scorgere brandelli di video arte in rete. Già, sembrerà strano ai più ma le cose stanno esattamente così, nell’epoca dei social network multimediali, degli scambi di informazioni alla velocità della luce e del trionfo dell’immagine sul verbo, le opere di video arte sembrano voler fare le timide. Sempre più artisti scelgono di non pubblicare le loro creazioni video su Youtube o su Vimeo, la paura è quella di sminuire il proprio lavoro mostrandolo in sedi diverse da quelle museali o quanto altro.

Evitare di inflazionare un’opera è un modo come un altro per salvaguardare la propria creatività ma va detto non sempre le precauzioni giovano ed a nascondersi troppo c’è il rischio di sparire per sempre.Questa tendenza o tattica comportamentale che dir si voglia, è diffusa a livello internazionale, ed anche a visitare il web site dell’artista di turno si riuscirà a trovare ben poco.

Fingersi giovani artisti

 

Se ancora non ve ne eravate accorti, il mondo dell’arte perpetra continue discriminazioni riguardo l’età dei suoi protagonisti. Questa assurda pratica è talmente diffusa che il primo consiglio da dare ad un artista è quello di rimuovere la propria data di nascita da curriculum vitae, account Facebook e sito web personale. Prendiamo ad esempio gli artisti attivi in Italia agli inizi degli anni ’90, quelli della generazione pre-internet o magari quelli attivi agli inizi del 2000.

Ebbene, è facile notare che molti di quei nomi si sono persi nelle sabbie del tempo. Anche loro sono stati giovani artisti, vezzeggiati dal mercato e dalle gallerie di grido, ma una volta superata la soglia dei quaranta sono stati messi in soffitta e completamente dimenticati. Certo i più abili sono riusciti a salvarsi e a trasformarsi in maestri del contemporaneo ma una nutrita schiera è caduta nell’oblio.

Richard Phillips antidivo con Lindsay Lohan

Abbiamo più volte accusato i protagonisti della scena internazionale dell’arte contemporanea di aver stretto un patto troppo saldo con lo spettacolo. Sempre più opere cercano infatti di spettacolarizzare una tematica piuttosto che offrirla al fruitore in una veste più profonda e sperimentale. La ricerca dell’immagine e del protagonismo a tutti i costi ha finito quindi con il rovinare determinate ricerche, costringendo gli artisti a ricercare un punto d’interesse per attirare le attenzioni di un pubblico sempre più vasto.

A volte però qualche artista illuminato prova a lottare contro questa spettacolarizzazione dell’arte contemporanea utilizzando le medesime armi del nemico e rovesciando il gioco delle parti. Ad Art Basel ad esempio ha imperversato un’opera video di Richard Phillips intitolata First Point che ha come protagonista la starlette di Hollywood Lindsay Lohan, celebre per le sue sregolatezze più che per il suo talento di attrice o cantante che dir si voglia.

Si chiude una deludente prima parte del 2012

Ancora una volta la stagione espositiva volge al termine ed ancora una volta siamo qui a contare i feriti. Già, la prima parte del 2012 non si è conclusa molto bene, anzi si potrebbe affermare senza ombra di dubbio che l’ultimo trimestre è stato quantomai disastroso. Le gallerie private hanno mantenuto il livello di guardia e, salvo sporadici casi, non hanno rischiato il lancio di nuovi nomi. Molti dealers hanno preferito rinverdire il loro back catalogue piuttosto che tentare il salto nel vuoto.

Cronica ormai la diserzione di questi ultimi dalle fiere d’arte contemporanea di spicco come Torino, Bologna, Milano e Roma. Le quattro kermesse hanno mostrato di non saper tenere il passo con i tempi e non è escluso che si ritorni ad una partita a tre. Roma non ha saputo convincere sino in fondo chi attendeva il rilancio definitivo.

Il re nudo e l’arte contemporanea

 

Il mondo dell’arte contemporanea ha un suo codice da rispettare, una serie di regole che vanno seguite. Nessuno mai mette in discussione queste regole e quando si parla di mercato o di critica, apprezzare una mucca squartata a metà, uno squalo in salamoia, un lampadario assemblato con i Tampax o un gigantesco neon diviene un puro automatismo. Inutile chiedersi il perché di questi meccanismi, tanto qualcuno ha già deciso che quel dato oggetto è un’opera d’arte e voi non potete farci nulla. Ed il bello è che nel mondo dell’arte nessuno morde la coda al proprio prossimo, quindi se un’opera è brutta, non troverete anima viva disposta ad affermare che il re è nudo.

 Se siete giovani artisti e volete entrar a far parte del sistema, ammesso che questo esista realmente, dovete per forza di cose accettare il fatto che la creatività è divenuta un comportamento. Fino agli inizi del secolo scorso essere artista significava soprattutto avere spiccate qualità tecniche e creative, studiare il bel disegno, la bella pittura e la bella scultura, essere un maestro d’arte insomma. Beh, le cose non stanno più così, molti danno ingiustamente la colpa di tutto questo a Marcel Duchamp, in realtà il discorso sarebbe molto più lungo.

Poi ti lamenti che il pubblico non c’è

Il crollo verticale del sistema/arte, culminato con la sostanziale debacle di Roma contemporary, può aiutarci a comprendere cosa andrebbe cambiato, per ritrovare il perduto interesse del pubblico. Innanzitutto bisognerebbe farla finita con il concetto di “tecnico straniero”, lo specialista venuto da oltreconfine che salva baracca e burattini è una bella favoletta da raccontare ai vostri nipoti. Abbiamo ottimi curatori, manager ed addetti del settore anche dalle nostre parti, è preferibile un fallimento tutto italiano ad uno estero profumatamente pagato.

Anche i circoletti finto-minimal intellettuali che organizzano talk (in tutte le lingue tranne che l’italiano) sulla relazione tra Marinus Boezem e la margarina sono giunti ben oltre l’umana sopportazione. Proprio per dar retta a questi intellettuali radical-chic molti galleristi sono stati trascinati nel buco nero del Newindustrialminimalism / Cunsumerism, una pseudo corrente creativa che trova la sua ragion d’essere all’interno di lamiere buttate per terra, pezzi di marmo smussati con cartoline appiccicate sopra, sedie, mobili, piume di pavone e quanto altro.

Damien Hirst? dipinge come Gheddafi!

Damien Hirst non è un pittore. Ma come, direte voi, e gli Spot Paintings? E gli Spin Paintings? Beh, ci vuole coraggio a definire dipinti sia gli Spot che gli Spin, i primi sono semplici puntini colorati, delle patterns che nel tessile si usano dagli anni del cucco. I secondi invece sono simili a quei dipinti che fino a qualche tempo fa si potevano comprare al lunapark per pochi spicci, quelli eseguiti con il piatto rotante per intenderci. Ovviamente noi di Globartmag non siamo gli unici a criticare negativamente le esperienze pittoriche del folletto della YBA generation.

Anche gli altri magazine del settore hanno più volte criticato le gesta materiche del nostro buon Hirst. Come ben ricorderete, nel 2009 Hirst presentò una nuova serie di 25 dipinti realizzati per la mostra No Love Lost: Blue Paintings alla Wallace Collection di Londra. In quel frangente la critica ha stroncò le opere del celebre artista definendole la peggiore brutta copia di Francis Bacon. In seguito a questa triste vicenda anche il prestigioso magazine Artreview, nella sua top 100, si trovò costretta a far scendere Hirst al 48° posto e l’editore Mark Rappolt commentò così l’accaduto: “negli ultimi tempi Damien Hirst ha cambiato la sua produzione e le sue direzioni artistiche in maniera del tutto drastica. L’artista ha ridotto il suo studio e sembra essere in una sorta di fase sperimentale.”

Ma l’artista chi l’ha visto?

Come ben saprete, il sistema dell’arte contemporanea è costituito da una serie di attori più o meno importanti. Gli artisti ovviamente ricoprono un ruolo fondamentale all’interno di questo sistema, visto che senza di loro l’arte esso non avrebbe ragione di esistere. Eppure i poveri artisti sono sempre più schiacciati all’interno di meccanismi infernali che spesso e volentieri li retrocedono e comprimari di una competizione senza tregua.

Già, i curatori stilano i loro lungimiranti progetti che puntualmente non tengono conto delle opere in mostra, le fiere e le altre grandi manifestazioni di mercato sono orientate ad ingraziarsi le gallerie, le Biennali sparse per il mondo mirano a riunire un sempre più crescente numero di nomi possibili per attirare il pubblico, anche i testi sull’arte contemporanea sono divenuti una sorta di libercoli satirici che nulla hanno a che vedere con uno studio scientifico della materia.

Quando il curatore non si cura della mostra

La Berlin Biennale di quest’anno non ha lasciato il segno. Il tema, incentrato su questioni politiche, non è stato sviscerato al meglio e gli artisti si sono accostati a fatica al progetto curatoriale. Purtroppo la mania di fagocitare le opere con linee curatoriali troppo complesse imperversa in tutto il mondo e, visto che le opere sono divenute solamente degli elementi arredativi a compendio del progetto, tra non molto si assisterà a mostre di soli testi curatoriali.

Ovviamente ciò rappresenterebbe il definitivo tramonto dell’arte contemporanea, il colpo che precede il tracollo, visto che da più parti si è già da tempo ipotizzata una crisi della bellezza all’interno del mondo creativo di oggigiorno. Il curatore è divenuto una primadonna che deve per forza di cose stupire il pubblico con trovate ad effetto che di fatto non tengono in considerazione le opere e non hanno alcun rispetto per gli artisti in mostra.

Scoprire Hunger dopo Shame

Come spesso succede dalle nostre parti, quando un regista riceve un successo inaspettato con una sua pellicola, anche le sue opere precedenti vengono ridistribuite. Anche con Steve McQueen è andata più o meno così. Parliamo ovviamente di una nostra vecchia conoscenza, visto che McQueen è anche uno dei più acclamati protagonisti dell’arte contemporanea. Nel 1999 si è aggiudicato il prestigioso Turner Prize e nel 2007 ha esposto alla Biennale di Venezia, sino a giungere al tripudio del 2009 dove sempre in laguna ha occupato il Padiglione Britannico, proponendo un film che vedeva come protagonisti proprio i Giardini di Venezia, visti nel periodo precedente l’esposizione, evidenziando così la differenza tra i sei mesi che ogni due anni vedono quella zona protagonista, e i rimanenti diciotto, dove la desolazione regna sovrana.

Noi quindi conoscevamo McQueen, i borghesucci del cinema italiano  dovevano ancora scoprirlo e lo hanno fatto con Shame, pellicola che ha stuzzicato i pruriti porno di chi non ha il coraggio di guardare un porno.

60 milioni di critici

60 milioni di allenatori, tutti quanti ultra competenti, che sono soliti parlar di sport dalle loro comodissime poltrone casalinghe. Questo, in sostanza, è il ritratto di noi italiani, popolo di santi, poeti e navigatori ma soprattutto di saccenti pigroni, pronti a sputar sentenze su chi invece ha il difetto di tentare un movimento all’interno dell’immobilità generale.

Per quanto riguarda il nostro dorato mondo dell’arte contemporanea, le cose non cambiano poi tanto, siam sempre 60 milioni di curatori, direttori, critici e giornalisti. Se si assiste al triste decadimento di una struttura museale pubblica, si è subito pronti a chiamare in causa l’incapacità dei direttori e l’insipienza dei curatori, sbandierando ai quattro venti una varietà di soluzioni che avrebbero definitivamente salvato quella povera struttura.

Cucinare con l’arte contemporanea ed altre stramberie della critica

L’arte è un oggetto volante non identificato all’interno dei nostri quotidiani d’informazione e per il settore del contemporaneo le cose vanno ancora peggio. La presenza di articoli riguardante l’arte contemporanea equivale a trovar acqua nel deserto e quando questa è presente c’è anche il rischio che sia imbevibile. Disinformazione, approssimazione e inutile ironia, il tutto condito con una bella dose di populismo, che non guasta mai .

Queste sono le caratteristiche salienti che possono essere riscontrate in un  articolo-tipo di arte contemporanea destinato a comparire sulle pagine del quotidiano di turno. La colpa di tutto ciò, direte voi, potrebbe risiedere nel fatto che molto spesso a scriver di arte contemporanea non sono veri e propri “esperti” del settore, ma dei semplici parvenu, dei pubblicisti che non hanno trovato qualcosa di meglio da fare per sbarcare il lunario. 

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