Il critichese ti accorcia la vita

Difficile entrare nella pelle di questo lavoro, questo perché la meccanica che lo genera si affida non solo al substrato figurativo-narrativo, ma anche ad una logica surreale all’interno di una matrice spaziale che mina la sottostruttura del pensiero. L’iconicità delle opere di XX attiva una qualità transitoria in senso visivo e concettuale.  La qualità sommersa della purezza delle linee contestualizza giustapposizioni formali, per quanto riguarda invece il problema dei contenuti, la perturbazione disgiuntiva dona risalto a distinzioni formali”.

 Ciò che abbiamo appena pubblicato è lo stralcio di un testo critico. A molti questo sembrerà un bel testo critico, ad altri invece potrà apparire un poco inconcludente ed artefatto. Beh, in realtà questo testo è stato scritto con un generatore automatico di testi critici, praticamente il computer ha mescolato alcuni termini a suo piacimento ed ha scodellato questo prodotto finale.

Se Yelp diventa una piattaforma critica

In questi giorni, ad esser precisi lo scorso venerdi, Yelp inc. ha fatto il suo ingresso nel difficile mondo della borsa di Wall Street. Per quanti di voi non lo conoscessero, Yelp è una sorta di social network dove gli utenti possono creare un account personale ed in seguito scrivere delle vere e proprie recensioni sulle attività commerciali ed i servizi delle loro città. In Italia Yelp è stato lanciato verso la fine del 2011 mentre negli States la piattaforma esiste già da diversi anni, vale a dire dal “lontano” 2004.

Dovete sapere che Yelp conta 63 milioni di visitatori unici al mese ed i suoi utenti hanno scritto circa 21 milioni di recensioni. Con un bacino di recensioni così ampio era inevitabile che prima o poi si finisse a parlare di arte contemporanea.

Questo postmodernismo che non finisce mai

Finalmente anche dalle nostre parti è arrivata la grande mostra Postmodernismo. Stile e Sovversione 1970-1990, panoramica sulle sperimentazioni postmoderne già apparsa con grande successo di pubblico e critica al Victoria and Albert Museum di Londra. Stavolta il grande evento fa tappa al Mart di Rovereto dove dal 25 febbraio al 2 giugno avremo l’opportunità di ammirare seminali opere di Cindy Sherman, Jeff Koons, David Byrne, Derek Barman, Laurie Anderson e tanti tantissimi altri protagonisti dell’arte, del design e della musica.

Dando una sbirciata al sito del Mart, è possibile leggere queste parole che accompagnano il grande evento: “Citazionismo, libertà, poetica del frammento, esagerazione, consumismo. Cos’è stato il Postmodernismo? Lo racconta questa mostra ricchissima di spunti visivi e multimediali, in arrivo dal Victoria & Albert di Londra”.

Zombie della pittura, unitevi!

Per molti la pittura è definitivamente morta, per altri è ancora viva. Questa strana condizione in cui versa uno dei medium più vecchi del mondo è quindi simile a quella di uno Zombie, un’entità che ancora non ha ben chiaro il suo futuro mentre a stento intravede il suo presente. Effettivamente un caso-pittura esiste e ne danno prova le ormai sistematiche assenze alle manifestazioni internazionali.

Anche alla scorsa Biennale di Venezia, tranne il Padiglione Minestrone Italia di Vittorione Nazionale© in cui si è assistito ad una sorta di trionfo/tragedia, la pittura è stata soppiantata dall’installazione che ormai sembra farla da padrone. Tutti i curatori vogliono un bel progetto invasivo, con oggetti ammassati dappertutto e sopratutto sparsi dappertutto.

La pioggia nel pineto del sistema dell’arte

“Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.”
Perdonatemi l’attacco dannunziano ma questo stralcio rubato da La Pioggia Nel Pineto ben si adatta non solo alla furia degli elementi che in questi ultimi giorni ha bloccato il nostro italico Stivale ma anche al nostro dorato mondo dell’arte contemporanea.

Questo invito al silenzio, all’estraniamento momentaneo per ascoltare i suoni prodotti dalla natura dovrebbe essere preso in considerazione anche da noi addetti ai lavori, sempre pronti a saturare la scena con la nostra cacofonia ideologica. Si parla e si straparla sempre di più e si ascolta sempre di meno, ecco allora che il naturale suono prodotto dall’arte non viene affatto colto.

Com’è triste Bologna parte 1

Artribune ha da poco pubblicato alcuni video-bollettini con le opinioni dei galleristi presenti quest’anno ad Artefiera Bologna. Inutile aggiungere che le dichiarazioni rilasciate da alcuni dealers mi hanno lasciata un poco perplessa. Come precisato in seguito dal sempre puntuale magazine, a telecamere spente le opinioni dei galleristi erano un tantino diverse. Di certo a qualcuno la fiera ha giovato ma la maggior parte delle gallerie partecipanti sono tornate a casa con un pugno di mosche, anzi con la sacca piena di biglietti da visita e qualche rimpianto.

La crisi forse non colpirà le fiere d’oltreconfine ma dalle nostre parti il disastro economico si sente eccome ed è inutile continuare con questo negazionismo berlusconiano reiterato da Silvia Evangelisti, l’Italia è ferma, il mercato dell’arte contemporanea non sta attraversando un momento felice e la vetusta formula di Artefiera non regge il passo con i tempi. La recessione arriva inevitabilmente anche a Bologna, dove dopo una preview semideserta ed un venerdì che ha fatto tremare le ginocchia a tutti (colpa anche dei numerosi scioperi nazionali e dei cataclismi naturali), i rimanenti giorni di fiera sono sfilati senza troppe sorprese e senza troppa calca.

Fortuna vuole che quest’anno, a differenza di quelli passati dove le riserve erano blindatissime, l’organizzazione ha deciso di elargire a moltissimi visitatori il biglietto gratuito per tentare di “fare massa”.

Aleksandr Sokurov e Faust dal cinema alla video arte


Con Faust, Aleksandr Sokurov chiude in bellezza la sua grande tetralogia fondata sul potere ed i suoi effetti devastanti sulla natura umana. Dopo aver preso in esame le figure di Adolf Hitler (“Moloch”, 1999), Vladimir Lenin (“Il Toro”, 2000) e l’imperatore giapponese Hirohito (“Il Sole”, 2004), il grande regista, autore di Arca Russa (2002), si concentra sul dottor Faust di Goethe che in sostanza contiene tutti i personaggi delle pellicole precedenti e riassume in sé l’essenza della condizione umana.

Nelle mani di Sokurov, la grande leggenda del dottore deluso ed annoiato dalla vita che stringe un patto con il diavolo per ottenere conoscenza e piacere, diviene metafora dell’esistenza stessa in un continuo rotear di macchina da presa e destini, un turbinio perpetuo che costringe i protagonisti ad errare senza una meta all’interno di un universo ottocentesco che pare proiettato all’indietro nel tempo e regala visioni che si accostano ai capolavori di Hieronymus Bosch con frammenti botticelliani in alcune scene dominate dai personaggi femminei.

Se Steve McCurry riattiva il MACRO di Roma

Domenica 22 gennaio 2012, ore 17:00, una lunghissima fila di visitatori serpeggia ben oltre le cancellate del museo MACRO di Roma in quel di Testaccio. A memoria d’uomo una folla così nutrita non s’era mai vista all’interno dell’ex mattatoio, ed il bello è che gli astanti non si apprestano a presenziare ad un art aperitif o ad un vernissage, bensì ad una mostra che è stata inaugurata già da diverso tempo, esattamente dal 3 dicembre 2011. Parliamo ovviamente della nutrita retrospettiva dedicata a Steve McCurry, oltre duecento scatti che raccontano le storie e i viaggi del genio americano della fotografia documentaristica.

Un successo senza precedenti che apre una grande riflessione sul passato del MACRO e sul futuro di tutti i musei d’arte contemporanea dell’intera nazione. Steve McCurry non è propriamente un artista sperimentale, il suo lavoro è di grande impatto visivo e caratterizzato da una curatissima componente estetica. All’interno della sua visione fotografica non si nascondono significati altri, tutto è ben evidente e pronto ad esser fruito. Forse Steve McCurry è un fotografo “facile”, forse la sua retrospettiva è solamente un blockbuster ma è innegabile che questo evento segna il netto ricongiungimento tra il MACRO e la fotografia, tra il museo ed il suo pubblico.

Mostri da Mostre

 

L’opening, o se preferite il vernissage, è l’evento principe di ogni mostra d’arte . Impossibile mancare ad un’inaugurazione, specialmente si si tratta di un grande evento in una prestigiosa galleria e gli artisti invitati a partecipare rappresentano quanto di meglio offra la scena del contemporaneo. Eppure l’opening, almeno dalle nostre parti, è spesso il momento meno opportuno per fruire l’arte, vuoi per la ressa di persone che si interpone tra l’occhio e l’opera, vuoi per la presenza di vino e salatini che finiscono sempre col trasportare tutti al di fuori della galleria, ad animare i più disparati chiacchiericci da bar dello sport. E poi durante il vernissage i galleristi tentano giustamente di vendere le opere o crearsi nuovi contatti. Ne consegue che il vernissage è un evento mondano costruito dal mercato per il mercato. Oltre questi insoliti meccanismi, l’opening è riuscito in questi ultimi tempi a produrre una serie di personaggi ancor più bizzarri che la scrivente va ora ad elencare:

Il Non-Salutatore. Solitamente si tratta di un collega/artista/critico/gallerista/giornalista che conoscete bene e con cui vi siete più volte fermati a parlare. All’opening di prestigio questi diviene un completo estraneo, vi guarda e non vi riconosce, se distolto da una personalità importante il Non-Salutatore vi darà sempre le spalle anche se gli ruotate attorno a 360 gradi.

Perché è impossibile amare Damien Hirst ed i suoi Spot Paintings

Così Damien Hirst ha monopolizzato questo lungo inverno dell’arte contemporanea. Il suo faraonico progetto Damien Hirst The Complete Spot Paintings 1986-2011 è finalmente partito e tutte le Gagosian Gallery sparse per il globo sono state prese d’assalto da exhibition-goers, vips, esperti del settore, collezionisti, artisti e semplici appassionati. Tuttavia, dietro le luccicanti paillettes di un sistema sempre pronto al sensazionalismo ed al colpo d’effetto, l’impresa di Hirst può aiutarci a riflettere su alcuni meccanismi che regolano la produzione ed il mercato dell’arte contemporanea.

Hirst ha dichiarato di lasciare ai suoi assistenti la realizzazione degli spot paintings: “mettere mano a questo tipo di dipinti mi annoia parecchio” avrebbe dichiarato l’artista alla stampa internazionale. Ciò ha fatto infuriare i puristi e la critica, persino David Hockney si è scagliato duramente contro Hirst, che tra l’altro avrebbe eseguito solo 5 dei 1.400 dipinti attualmente in mostra. Parlare di “artigianato” e manualità può far sorridere nel 2012, specie se si prendono ad esempio la Factory di Andy Warhol, l’arte concettuale o i murales di Sol LeWitt inviati tramite Fax ed eseguiti dagli assistenti a migliaia di chilometri di distanza.

Quando la crisi cura il curatore

C’è la crisi, c’è la crisi. I grandi colossi bancari perdono colpi in borsa, le casse governative sono sempre più misere, le amministrazioni brancolano nel buio e tagliano i fondi alla cultura. Il bello è che le istituzioni i fondi per la cultura non li vogliono nemmeno, basti pensare a ciò che sta accadendo in queste ultime ore con i soldi promessi da Diego Della Valle per il restauro del Colosseo romano. Il patron della Tod’s avrebbe già versato una prima tranche da 10 milioni a garanzia del pagamento ma la burocrazia ha fermato tutto. Secondo quanto riferisce il Codacons l’Antitrust avrebbe evidenziato una serie di distorsioni della concorrenza nell’affidamento dei lavori a Tod’s. Insomma la situazione di riflesso rischia di guastare la festa anche al nostro beneamato mondo dell’arte contemporanea ed in special modo al settore curatoriale, che notoriamente di fondi ha un disperato bisogno per l’organizzazione di eventi e mostre.

Ed allora, come fare per risolvere questa spigolosa situazione? Niente, poiché la crisi rappresenta un vero e proprio toccasana per il curatore dell’arte contemporanea. Già, la scrivente non è mancante di qualche rotella e non ha nemmeno sviluppato una particolare affezione per il sadismo. Finalmente la “nostra” categoria è giunta ad un’importante banco di prova, finalmente è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche e fare quello che da tempo andava fatto.

Quando il pubblico si annoia

Molti magazine d’arte contemporanea internazionali e non, hanno in queste ultime settimane lanciato un dialogo sull’allontanamento del pubblico da mostre ed affini. Questo proficuo dibattito è sorto spontaneamente in ogni parte del globo, segno evidente che la necessità di ritrovare ciò che si è perso per strada è quanto mai universale. Due grandi voci come Charles Saatchi e Jerry Saltz hanno inoltre raccolto il sentimento comune, convogliando alcune lamentele che sino ad ora erano comparse su alcune testate e rilanciate da alcuni critici.

Saatchi e Saltz si sono scagliati contro l’arte da avanspettacolo, contro la noia imperante e contro la trasformazione dei musei in anfiteatri dediti ad attività circensi per racimolare un sempre più vasto bacino di pubblico. Ed allora dove risiede il punto di equilibrio? Dove trovare la giusta via di mezzo capace di rappresentare il giusto connubio tra sperimentazione e fascino? Saltz ha inesorabilmente stroncato il “parco dei divertimenti” architettato da Carsten Höller per il New Museum e la mega retrospettiva di Maurizio Cattelan al Guggenheim (ambedue a New York) ma è inutile negare che entrambi gli eventi hanno sbancato al botteghino, consegnando alle due istituzione il record di ingressi.

Ed Anche Jerry Saltz accusa il mondo dell’arte

Se Charles Saatchi si è detto deluso dall’attuale mondo dell’arte, il celebre critico Jerry Saltz non può essere da meno ed ha quindi risposto idealmente al dealer con un articolo comparso sul New York Entertainment. Attaccare un sistema in cui fino ad oggi tutti hanno ben mangiato sembra esser divenuto lo sport nazionale degli Artsters di tutto il mondo. A differenza di Saatchi, Saltz se la prende con i musei, accusandoli di essersi trasformati in enormi parchi di divertimento o circhi consumistici, votati allo spettacolo ed al voyeurismo.

L’inizio della fine, secondo il grande critico, è databile attorno al 2008 con l’inaugurazione della mostra theanyspacewhatever al Guggenheim di New York, una sorta di baraccone iperconcettuale intriso di parole e luci con tanto di top stars dell’arte del calibro di Angela Bulloch, Maurizio Cattelan, Liam Gillick, Dominique Gonzalez-Foerster, Douglas Gordon e Carsten Höller.

Charles Saatchi, la società dello spettacolo e l’arte in rovina

 “Sono cresciuto a pane e spettacolo, adoro l’esibizionismo ma questo mondo dell’arte è divenuto troppo esibizionista e troppo spettacolare anche per uno come me. Mi chiedo se i grandi collezionisti siano ancora innamorati dell’arte contemporanea o siano solo pronti ad ostentarla nelle loro ricche case. Curatori e galleristi invece sono privi di coraggio ed intuizione. Preferiscono esporre video noiosi ed opere post-concettuali incomprensibili”.

Queste parole comparse pochi giorni or sono sul Guardian sono di Charles Saatchi, uno dei più grandi squali del mercato dell’arte nonché ideatore della generazione Young British Artists. Parole dure ma sensate, eppure vien da sorridere se si pensa che è stato proprio il celebre dealer, una ventina di anni fa, ad inaugurare una lunga stagione costellata da opere spettacolari, votate allo spettacolo. Il boomerang lanciato da Saatchi è rimbalzato pericolosamente all’indietro, finendo per colpire il suo ignaro padrone. Oggi il povero Charles sembra aver aperto improvvisamente gli occhi, mettendosi a riflettere su ciò che fra le nostre pagine si discute ormai da tempo immemore.

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