L’artista deve tornare ARTISTA

 Il sistema dell’arte vuole trasformare gli artisti in un manipolo di individui ansiosi e stitici che attendono disperatamente di essere scoperti e guadagnare un qualsiasi tipo di riconoscimento. Questo ovviamente potrebbe essere il giusto scotto da pagare per raggiunger celebrità e successo economico, ma giunti a questo punto i folli meccanismi presenti all’interno della scena tricolore risultano essere talmente fuori controllo ed inconcludenti che il gioco non vale più la candela.

Ragionando a mente fredda sul pasticcio Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è possibile riscontrare alcuni aspetti comportamentali che in un modo o nell’altro devono per forza di cose cambiare, se non vogliamo che i nostri artisti si disperdano nel nulla, come semplici pedoni da immolare su di una scacchiera mal concepita dal curatore-arraffone di turno. Farsi rastrellare in liste chilometriche pronte a cangiare da un giorno all’altro, farsi trattare come carne da macello senza il minimo ritegno, pagarsi le spese di spedizione delle opere ed in seguito allestire le stesse con le proprie mani, partecipare ad un progetto raffazzonato che svilisce la propria creatività ed in seguito subire l’iter burocratico di un allestimento da magazzino dell’Ikea durante il riordino merci.

Il Book Deconstruction è l’anticamera del decoupage

Roland Topor, Souvenir, 1971

 

In questi lunghi mesi abbiamo più volte tirato in ballo i diversi comportamenti e tic presenti nella produzione del giovane artista medio. Va detto che molti nuovi talenti presenti all’interno della nostra scena lavorano con coscienza e cercano di evitare estetiche fritte e rifritte e concetti inconcludenti. Sussiste però una buona fetta di artisti emergenti che ama poggiarsi sul già visto, adora creare uno stitico e vuoto inganno visivo da abbinare a quello concettuale per poi generare un enigma inutile.

Questo mistero germoglia come un seme all’interno della mente del fruitore, conducendolo ad una vana ricerca di significati, difficile quanto cercare un gatto nero in una stanza buia quando di fatto il gatto non c’è. Abbiamo quindi passato in rassegna tutte le manifestazioni di Ikea Art e Newindustrialminimalism, vale a dire l’ammasso inutile di found objects, il conglomerato di cemento e lamiere piegate con una bella piuma di pavone sopra, i mobiletti di nonna Piera riempiti con foto dello zio e qualche vaso di plastica liquefatta a far da contrappunto. Accanto a queste manifestazioni creative sta prendendo piede l’ennesimo comportamento generalizzato, quello del Book Deconstruction.

Del perchè il pubblico si allontana dall’arte contemporanea

Da diverso tempo mi trovo a condividere con Luca Rossi alcune idee riguardo alla scena dell’arte contemporanea ed alla sua ormai cronica mancanza di pubblico. Come già scritto in precedenza, una delle cause di questo lento stillicidio è l’estrema inconcludenza e pretestuosità dei progetti presentati da curatori ed artisti, progetti che molto spesso si riducono ad una serie di comportamenti stereotipati, infarciti di vuoti concetti ed estetiche semplicemente brutte.

A volte ciò che viene dato in pasto al pubblico è l’idea dell’idea e questo non può esser fruito in maniera naturale, bisognerebbe superare il postmodernismo o almeno Duchamp per ritornare a respirare. Essere facili non significa esser dei semplici, altrimenti tanto varrebbe pensarla come Carmelo Bene e recitar le fatidiche parole: “L’arte è sempre stata borghese, idiota, mentecatta, soprattutto cialtrona e puttanesca e ruffiana. L’arte deve essere incomunicabile, deve solamente superare se stessa”.

Il mondo dell’arte schiavo dell’Operazionismo creativo

 

Nan Goldin si riscopre fotografa (senza identità) per il re delle scarpe Jimmy Choo. Ai Weiwei non disdegna la collaborazione con W Magazine. Jerry Saltz è un grande critico ma è anche un giudice del reality show dell’arte Work Of Art, una delle peggiori idee della tv contemporanea. Christie’s da par suo assolda Spiderman e lo fa interagire con una scultura di Louise Bourgeois. Le fiere dell’arte si moltiplicano a vista d’occhio con conseguente bagno di folla ma spesso gli opening si affastellano l’uno sull’altro, creando replicanti inutili. I grandi franchisor come Lisson aprono sedi in ogni parte del globo per attirar più clienti nei loro supermarket dell’arte. La Vip Art Fair, fiera dell’arte esclusivamente online, ritocca la sua piattaforma in occasione dell’edizione 2012.

Queste, in sintesi, le notizie provenienti dal mondo dell’arte contemporanea degli ultimi giorni. Si tratta di eventi che in sostanza superano il concetto di spettacolo ed intrattenimento per lanciarsi sui sentieri inesplorati del nulla totale. La crisi del mondo moderno ha provocato una reazione all’interno dell’artesistema ma questa reazione è in realtà un grande effetto collaterale che minaccia la salute di un mondo ormai esangue.

Quando la critica e Jerry Saltz prendono cantonate colossali

La scorsa domenica la scrivente ha presenziato all’inaugurazione della libreria Let’s Art in via del Pellegrino 132, praticamente uno dei pochi luoghi a Roma dove è possibile trovare un’ottima selezione di pubblicazioni riguardanti l’arte contemporanea, alcune introvabili. Lo spazio è chic ed accogliente e si può persino gustare un caffè od un ottimo vino mentre si sceglie il volume preferito. In mezzo a tutti quei saggi, cataloghi e volumi illustrati, la voglia di comprare è tanta ed allora la scelta è ricaduta su Vedere ad alta voce di Jerry Saltz, un compendio di 10 anni di arte contemporanea a New York raccontata con la giusta dose di ironia e veleno.

Leggere Saltz è sempre uno spettacolo anche perché parliamo di uno dei pochi critici capace di fornire giudizi imparziali ed irriverenti senza subire la sudditanza psicologica che attanaglia il resto dei suoi colleghi. Ma la critica, lo dice anche Saltz, non è una scienza perfetta ed a volte,per tener fede all’ostinazione di dover per forza risultar caustici o profetici, si prendono storiche cantonate.

(In)Comunicato Stampa

Il comunicato stampa è uno strumento indispensabile per la promozione di un determinato evento artistico, esso permette di informare il pubblico su date e luoghi, oltre che fornire una piccola esegesi della mostra che si andrà a visionare. Insomma il comunicato stampa, se ben redatto, è un potente mezzo di informazione capace di raggiungere un grande bacino di utenze.

A volte però accade che questo strumento capiti nelle mani sbagliate, trasformandosi in un’inarrestabile arma di distruzione di massa. Già, quando si parla di arte contemporanea tutto sembra complicarsi ed allora ecco che chi scrive il comunicato, per darsi un contegno, appesantisce il testo con frasi criptiche ed espressioni linguistiche degne del più ispirato Ungaretti. Chissà quanti ne avrete letti anche voi di comunicati stampa semplicemente incomprensibili, altri che contengono di tutto tranne il luogo e la data della mostra in questione ed altri ancora che si dimenticano persino di citare gli artisti invitati.

Circo o Arte? Con Ryan Trecartin scopriamo le nuove tendenze dell’arte

Fotografia di Jacqueline Iannaccone

Infastidire il pubblico o divertirlo ed affascinarlo con le sue pirotecniche trovate, queste sono le caratteristiche salienti della creatività contemporanea. Idee che sterzano bruscamente verso lo spettacolo, sregolatezze che lasciano un cattivo gusto in bocca come quelle del gruppo GELITIN alla Biennale di Venezia 2011. Si può storcere il naso o sorridere ma l’arte contemporanea ha deciso di prendere questa direzione ed anche la critica deve adeguarsi. Marcel Duchamp ha reso possibile la “frode” creativa e le nuove generazioni hanno raccolto questo oneroso testimone, senza mai dimenticarsi di inserire all’interno della loro produzione una buona dose di ironia.

Le scoppiettanti installazioni dei Paper Rad fanno il paio con il caos controllato di Artists Anonymous, mentre Banksy, Bruce High Quality Foundation e chi più ne ha più ne metta non stanno certo a guardare. Proprio in questi giorni il MoMA PS1 ha presentato al pubblico la mostra Any Ever di Ryan Trecartin (dal 19 giugno al 3 settembre 2011), offrendo una ricca panoramica delle nuove frontiere dell’arte.

Il “Cosa è giusto e cosa è sbagliato” dell’arte contemporanea

L’artista William Powhida, divenuto celebre per aver creato lo scorso anno una vignetta che illustrava i vari conflitti d’interesse tra curatori, galleristi ed artisti del New Museum di New York, è da poco tornato alla carica con una dei suoi piccanti interventi artistici. Questa volta Powhida ha creato un disegno dove elenca le cose giuste del mondo dell’arte contemporanea ma anche i comportamenti decisamente sbagliati che contribuiscono a creare una decisa spaccatura tra gli amanti dell’arte duri e puri e la scena internazionale. Ecco cosa c’è di giusto (sempre secondo Powhida) nel mondo della creatività:

– Esistono persone veramente spettacolari che creano arte
– Alcune di queste persone creano opere veramente spettacolari
–  vedere l’arte e le idee accessibili al grande pubblico
– Anche se si tratta di spettacolo popolari o di mode del momento
–  andare entrare nei nuovi musei creati da star dell’architettura
– Donare arte per dare supporto a spazi no profit

Quando l’arte non è cosa

Le “mafiette” e le relative guerre fra “bande” sono il nostro sport nazionale, una pratica tanto antica quanto diffusa che generalmente mette a confronto vari gruppetti (più o meno coesi) di amici che hanno l’intento comune di spartirsi una torta, sia essa piccola o grande. Questo modus operandi è largamente diffuso all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana e forse il Padiglione Minestrone Italia del Vittorione Nazionale ®, nel tentativo di opporsi alle mafiette, ha di fatto portato alla luce un ennesimo gruppetto di amichetti, vale a dire quello degli artisti che si trovano al di fuori della scena ufficiale ma godono comunque della stima di una parte della borghesia costituita da intellettuali, registi e compagnia cantante.

Il gruppetto messo in luce da Vittorione persegue gli stessi intenti delle altre “bande” vale a dire piazzare artisti in luoghi istituzionali, crearsi una cerchia di collezionisti, stringere rapporti con i galleristi e via dicendo.

Arte contemporanea italiana, una scena senza regole

Chi sono i curatori d’arte contemporanea attivi in Italia? Quali sono i loro compensi base e che contratti hanno? Gli assistenti di galleria hanno ferie e malattie pagate? Quale contratto nazionale stabilisce i loro diritti ed i loro doveri? Al di là delle liste create da magazine del settore, esiste un albo degli addetti ai lavori del settore del contemporaneo?

Quali sindacati esistono, quali associazioni, quali tariffari? Al di là di qualche sparuta unione nazionale, tutte queste figure professionali di fatto non hanno nessuna regolamentazione. Nessuna legge significa che alcuni professionisti o presunti tali (pochi a dire il vero ma ve ne sono) possono chiedere compensi astronomici, magari anche gabbando le tasse.

Carolee Schneemann, femminilità oltre il femminismo

Quando di si parla di performance o azioni incentrate sul corpo i primi nomi che ci vengono in mente sono Gina Pane, Marina Abramovic, Hermann Nitsch o Vito Acconci, oltre a tanti altri maestri che hanno utilizzato il nostro involucro terreno come campo aperto ad ogni tipo di sperimentazione creativa. C’è però un’artista che ha attraversato Fluxus, Body Art, Neo-Dada, Happenings e Beat Generation senza accostarsi a pieno a nessun movimento, un’artista che ha riaffermato con veemenza l’erotismo arcaico del corpo e la sua libertà universale.

Stiamo parlando di Carolee Schneemann (1939), artista americana che ha spesso sposato la causa politica e femminista anche se il suo concetto di femminismo è stato più volte rivolto alla liberazione dell’espressione sessuale piuttosto che alla manifestazione di una condizione di repressione del sesso femminile. Una delle performance storiche dell’artista è senza ombra di dubbio Meat Joy del 1964 azione in cui 8 soggetti parzialmente nudi si contorcono, danzando e giocando con vari oggetti, sostanze e cibo, una condizione simile ad un sabba erotico che per molti versi potrebbe allinearsi ai riti dionisiaci del Teatro delle Orge e dei Misteri di Nitsch che già a partire dal 1957 aveva cominciato a prendere una forma concreta.

Eva Hesse, minimalismo con sentimento

Tra le fredde emozioni offerte dalla grandi stagioni del minimalismo e del post-minimalismo vi è forse un recondito anfratto empio di rovente sentimento, di lirismo ed introspezione che se si oppone all’asetticità ed alla rigidità plastica delle forme. Questo delicato involucro interno è costituito dalle opere di Eva Hesse, grande protagonista del contemporaneo scomparsa a soli 34 anni nel 1970 ma capace di influenzare le nuove leve creative.

Eva Hesse nel corso della sua breve carriera artistica ha contribuito a cambiare per sempre il modo di approcciarsi alla pratica scultorea avvalendosi di materie all’epoca poco utilizzate e sperimentate come la gomma, le resine, il poliestere, il lattice ed altre materie plastiche. L’estrema duttilità degli elementi utilizzati, assieme ad un ferreo e pragmatico controllo degli stessi, permisero all’artista di realizzare installazioni in bilico tra forme organiche e presenze eteree, opere ibride che evocano tensioni tra contrari: caos e ordine, materiale ed immateriale, spazio positivo e negativo.

Douglas Huebler, il Grande Correttore

Il mondo è pieno di oggetti, più o meno interessanti; Io non voglio aggiungerne altri”, una frase emblematica questa dell’artista statunitense Douglas Huebler (1924 – 1997), partito dall’espressionismo astratto ed approdato a seminali ricerche concettuali, basate su di una commistione tra fotografie ed interventi testuali provenienti da una mitologia squisitamente personale. La sua affermazione, citata all’inizio di questo articolo, risulta ancor più attuale in tempi di sistematica iperproduzione di immagini.

Anche Huebler produceva immagini ma il suo intento non era quello di aggiungerle alla massa pregressa, quanto quello di utilizzare la macchina fotografica come un crudo attrezzo che copia la realtà, che serve solo per documentare un qualsivoglia fenomeno gli si presenti davanti. Nel far questo Huebler ha evitato una scelta estetica focalizzando la sua attenzione sull’essenza dei fenomeni. Ed è così che l’artista ci spinge ad ammirare la realtà degli oggetti all’interno di uno specifico sistema, senza tentare di aggiungerne altri, sottraendo semmai gli stessi all’ambiente circostante.

Quando l’arte italiana si trasforma in un “tour all’interno del cervello di Silvio Berlusconi”


Lo stato di profonda consunzione in cui versa la cultura italiana non mi stupisce più di tanto ma il bello è che le cose in questi ultimi tempi sono decisamente peggiorate. Fino a poco tempo fa le brutte figure restavano in famiglia, oggi grazie a Vittorio Sgarbi, all’ex ministro Sandro Bondi che ha caldeggiato la sua nomina alla curatela del Padiglione Italia ed al presidente della Biennale Paolo Baratta che lo ha praticamente appoggiato in tutto e per tutto (richiamandolo con lettere profumate ad ogni suo finto tentativo di rinunciare le dimissioni), l’arte contemporanea italiana è divenuta lo zimbello di tutto il mondo.

Proprio oggi Adrian Searle del Guardian ha pubblicato un articolo che suona più o meno così: “Il Padiglione Italia, un padiglione evitato dalle persone sane e visitato solo da quelli che ci sono capitati per caso. Noiosamente provocatoria, la mostra di Sgarbi è piena di cose orribili e kitsch, con un allestimento che fa impallidire. Con i suoi cliché ed il suo populismo-spazzatura il Padiglione Italia è come un tour all’interno del cervello di Silvio Berlusconi”.

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