Artissima: il trionfo/tonfo del New Industrial Minimalism

Artissima si è conclusa lasciando dietro di sé le solite gioie ed i soliti malcontenti. C’è chi dice che il livello delle gallerie e delle opere in mostra è stato incredibilmente alto, c’è invece chi è pronto ad affermare il contrario. C’è chi dice che il volume delle vendite è stato più che soddisfacente e chi invece si lamenta per non aver raggiunto nemmeno i fatidici “nuovi contatti”. Una certezza però l’abbiamo: l’ondata di New Industrial Minimalism che da tempo tentiamo di arginare in tutte le maniere sulle pagine del nostro blog, ha cominciato a stancare anche gli addetti ai lavori.

Torino vicino l’Europa?

Mentre rombano i motori di Artissima e la stampa di settore nostrana tenta di fare quadrato attorno alla manifestazione per risollevare un sistema che è oramai caduto in pezzi, all’estero non credono più alle nostre pacche sulle spalle e ai nostri “va tutto alla grande”, semmai ci hanno mai creduto. Proprio questa settimana un articolo di  Lindsay L. Benedict comparso su Hyperallergic ed intitolato Precarious Torino (Torino precaria) compie un breve punto sulla reale situazione del nostro artesistema, ma leggiamo cosa ha scritto l’artista/giornalista:

L’arte contemporanea? Roba da sfigati!

I grandi protagonisti dell’arte contemporanea riescono sempre ad attirare un gran numero di persone alle loro mostre ma questo non vuol dire che l’arte contemporanea sia un filone culturale amato universalmente . Recentemente il critico Jacob Willer ha scritto un saggio in tal senso, intitolandolo: “Come l’arte contemporanea ha perso il suo Glamour”.

Che bella l’Italia dell’arte contemporanea

Benvenuti in Italia, la patria della cultura e dell’arte. Tanto tempo fa potevamo sbandierare questo slogan, oggi queste parole suonano a dir poco ridicole. Questo poiché di questa beneamata cultura non rimane che un vago ricordo. Sono bastati due governi per trascinare le nostre risorse artistiche in un baratro senza fine, un orrido da cui uscire sarà molto difficile. Crolli del Colosseo, crolli di Pompei e crolli della Pinacoteca di Brera. Queste sono solo alcune delle più tristi vicende legate ai capisaldi della nostra cultura classica e moderna. Ma per quanto riguarda l’arte contemporanea le cose vanno ancora peggio.

Padiglioni Italia alla Biennale di Venezia affidati a megalomani che finiscono per metterci in mutande innanzi al mondo intero,  musei che vengono commissariati per buchi nel bilancio provocati dallo stesso governo che poi usa gli stessi per i valzer di poltrone (figura barbina anche qui), Padiglioni alla Biennale d’architettura che rischiano di passare in cavalleria. Ed anche le presidenze delle Biennali rischiano di fare la stessa fine salvo poi salvarsi in corner allo scoccare del novantesimo minuto.

Comprendere l’arte tra l’enigma e l’idiozia

L’arte contemporanea è sempre di gran moda ed è comunque terreno fertile per sperimentazioni estetiche e filosofiche di ogni tipo. Ultimamente però, per quanto concerne l’approccio didattico all’arte contemporanea le cose si sono fatte un tantino caotiche. Diciamo che si è persa la mezza misura, quella chiave di lettura accessibile ma non per questo semplice che garantiva una corretta esegesi della manifestazione creativa, senza per questo avvilire né l’opera né tanto meno il fruitore.

 Ecco quindi che oggigiorno l’arte contemporanea è divenuta incomprensibile e pretestuosa o semplicemente futile e banale. La storia dell’arte dei giorni nostri è la storia delle grandi manifestazioni ma molte di esse sono dei veri e propri deliri curatoriali che hanno in qualche modo dimenticato l’esistenza delle opere. Utopia Station, il progetto per la Biennale di Venezia del 2003 a cura di Molly Nesbit, Hans-Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija ha aperto la strada alle imprese curatoriali smaccatamente ciclopiche, buone solo per tirar quattro colpi ad effetto.

Il press kit di dOCUMENTA 13 diventa il book fotografico di Carolyn Christov-Bakargiev

In un mondo prestigioso ed esclusivo come quello dell’arte contemporanea le cadute di stile non sono contemplate. Eppure, ogni tanto qualcuno riesce a scivolare nel reame del cattivo gusto. A perdere la faccia non ci vuole niente e quando a farlo è una manifestazione di alto livello come dOCUMENTA (che si appresta ad inaugurare l’edizione numero 13 il prossimo 9 giugno), allora non si può far altro che lasciarsi andare in una sonora e grassa risata. A dire il vero di brutte figure dOCUMENTA ne ha già fatte due, ancor prima di aprire i battenti.

La notizia è comparsa in questi ultimi giorni su ArtStars, il blog curato da Nadja Sayej. Il critico, recatosi alla fiera ITB Berlin (esposizione internazionale del turismo e del viaggio) dello scorso marzo, si è imbattuto in un press kit ufficiale di dOCUMENTA 13.

Vendete i vostri Hirst prima che sia troppo tardi

Ha rivoluzionato il concetto di opera d’arte con il suo squalo in salamoia, è stato l’inventore di un nuovo modo di fare mercato con la sua mega-asta in due giorni dal titolo Beautiful Inside My Head Forever (2008) quando nelle prestigiose sale di Sotheby’s Londra riuscì a vendere tutte le sue 218 opere per un totale di 198 milioni di dollari. Infine è riuscito a trasformare anche il concetto di mostra, occupando con i suoi spot paintings tutte le sedi delle Gagosian Gallery di tutto il mondo.

Stiamo ovviamente parlando di Damien Hirst, artista che nel bene o nel male è entrato di diritto nella storia dell’arte contemporanea, raggiungendo al contempo lo status di personaggio più quotato di tutti i tempi. Eppure c’è qualcuno che non la pensa così. Il bastian contrario in questione è Julian Spalding, critico e curatore che nel corso della sua carriera ha diretto importanti hub culturali come il GoMA di Glasgow e l’Open Museum.

Biennali e premi con polemiche ad arte

Biennali e grandi manifestazioni artistiche sono sempre nell’occhio del ciclone per quanto riguarda critiche e roventi polemiche. Quest’anno però la Whitney Biennial sembra aver raccolto più polemiche del solito. Giusto ieri la Biennale del Whitney è stata minata da un falso comunicato stampa dove si prendevano in giro gli sponsors della prestigiosa manifestazione.

Andando indietro nel tempo è possibile trovare altri gustosi aneddoti: nel 1987 le Guerrilla Girls attuarono una delle più celebri proteste artistiche della storia, scagliandosi contro la cronica assenza delle donne nelle Biennali dal 1973 al 1987, il tutto all’interno di una mostra intitolata Girls Review The Whitney.

Archleaks, il sito che svela i retroscena delle archistar

Cosa succede all’interno degli studi d’architettura più famosi del mondo? Beh tutti noi vorremmo saperlo, anche perché spesso e volentieri gli archistar che li dirigono sono strapagati ed ultra criticati. Ebbene da oggi è possibile acquisire informazioni sulle meccaniche interne di questi studi, ciò grazie all’impegno di un anonimo architetto londinese che da novello Julian Assange ha lanciato una sorta di Wikileaks dell’architettura.

Stiamo parlando di Archleaks, una piattaforma dove i giovani architetti di tutto il mondo possono condividere la loro esperienza di lavoro all’interno di uno archistar studio in forma anonima.

Perché Sanremo è Sanremo…purtroppo

L’immagine Simbolo di questo Festival di Sanremo 2012 e forse anche il fulcro della nostra italica demagogia si nasconde dietro il tondo faccione di Dolores O’Riordan, leader dei redivivi Cranberries di ritorno dagli anni ’90. Gianni Morandi le chiede: “Ricordi una canzone o un cantante di una qualsiasi edizione Sanremo, in particolare?” e la povera Dolores risponde: “Mi dispiace, non conosco il Festival di Sanremo”.

Se ancora vi erano dubbi fra il pubblico, la povera Dolores li ha chiariti tutti: il Festival della canzone più famoso del mondo, quello trasmesso in Eurovisione, al di fuori dei nostri confini non esiste.

Com’è triste Bologna Parte 2

C’è poi chi, come Studio La Città di Verona, ha deciso di partecipare per l’ultima volta ad una fiera a causa dell’inconcludenza di questo tipo di manifestazioni. Eppure il sempre più crescente numero di manifestazioni di mercato organizzate all’estero, va un poco a cozzare contro tali affermazioni. “Io ho venduto. Io invece no”, il ritornello è sempre lo stesso degli anni passati ma stavolta il numero di bollini rossi diminuisce e la pressione sale alle stelle.

L’arte contemporanea è roba da ricchi, direbbe qualcuno, ma per crear prestigio e un’aura di  sofisticatezza bisogna conservare le apparenze e fingere di esserlo . In questo piattaforme come Frieze si dimostrano ben più preparate mentre la nostra organizzazione sente il peso degli anni e sotto le scarpe lucide il calzino bucato comincia già ad intravedersi.

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