Quando la crisi cura il curatore

C’è la crisi, c’è la crisi. I grandi colossi bancari perdono colpi in borsa, le casse governative sono sempre più misere, le amministrazioni brancolano nel buio e tagliano i fondi alla cultura. Il bello è che le istituzioni i fondi per la cultura non li vogliono nemmeno, basti pensare a ciò che sta accadendo in queste ultime ore con i soldi promessi da Diego Della Valle per il restauro del Colosseo romano. Il patron della Tod’s avrebbe già versato una prima tranche da 10 milioni a garanzia del pagamento ma la burocrazia ha fermato tutto. Secondo quanto riferisce il Codacons l’Antitrust avrebbe evidenziato una serie di distorsioni della concorrenza nell’affidamento dei lavori a Tod’s. Insomma la situazione di riflesso rischia di guastare la festa anche al nostro beneamato mondo dell’arte contemporanea ed in special modo al settore curatoriale, che notoriamente di fondi ha un disperato bisogno per l’organizzazione di eventi e mostre.

Ed allora, come fare per risolvere questa spigolosa situazione? Niente, poiché la crisi rappresenta un vero e proprio toccasana per il curatore dell’arte contemporanea. Già, la scrivente non è mancante di qualche rotella e non ha nemmeno sviluppato una particolare affezione per il sadismo. Finalmente la “nostra” categoria è giunta ad un’importante banco di prova, finalmente è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche e fare quello che da tempo andava fatto.

Il mondo dell’arte tra 1% e 99%

Voi, proprio voi che state leggendo le mie parole in questo esatto momento. Sono sicura che fra di voi c’è un altissimo numero di giovani artisti, giovani giornalisti, giovani galleristi, giovani curatori e giovani critici. Sto parlando di gente che ha deciso di intraprendere una dura scalata sul ripido monte della scena dell’arte, gente che ha studiato e si è laureata o magari è divenuta maestro d’arte o ancora ha preso parte ad un costosissimo master.

Sto parlando di gente che mangia pane e arte da quando ricorda di avere dei ricordi, che la mattina si sveglia e la prima cosa che fa è aprire un magazine d’arte, che non si perde una mostra nella sua città, che quando va in vacanza non dimentica mai di visitare musei e gallerie locali e molte volte viaggia proprio in funzione dell’arte. Sono le stesse persone che lottano per entrare in una scuderia di qualche galleria che venda le loro opere senza specularci sopra, che lavorano come assistenti di galleria, scrivono tonnellate di articoli e curano mostre su mostre.

Curatori al passato

Quello del curatore d’arte contemporanea è un mestiere difficile, lo sa pur bene la scrivente e se vi stavate lamentando della disagiata condizione in cui versa l’artista contemporaneo allora sappiate che dall’altra parte del fronte non è certo tutto rose e fiori.

Oggi la figura del curatore è radicalmente cambiata, si potrebbe infatti definire il curatore come una sorta di ibrido tra manager e p.r. il quale molto spesso è più impegnato nelle relazioni pubbliche piuttosto che nella ricerca. Eppure ciò che ora sembra essere divenuta una figura imprenditoriale e rampante è stata un tempo fondamentale per lo sviluppo della ricerca creativa,  del confronto culturale e non solo determinante sotto il profilo economico-finanziario. Ad esser precisi, non molti anni fa il curatore girava per gli studi, visionava nuove proposte e seguiva la produzione degli artisti già noti.

Lotta (verbale) fra critici newyorchesi, botte da orbi tra Jerry Saltz e John Yau

 Alcuni giornali statunitensi l’hanno ribattezzata The War of the Words (la guerra delle parole), un ironico gioco di parole sul celebre romanzo di H.G. Wells, The War Of The Worlds (La guerra dei mondi). Si tratta di una nuova polemica nata in questi ultimi giorni tra i due più grandi critici d’arte di New York, John Yau e Jerry Saltz. Ad aprire le danze è stato Yau che sul magazine di critica d’arte The Brooklyn Rail ha accusato Saltz di essere un adoratore di Jeff Koons, mediante queste lodi sperticate Saltz celebrerebbe il proprio narcisismo.

La visione dell’arte americana di Saltz, secondo Yau, non rappresenta il vero spirito dell’arte americana. In un suo articolo Saltz avrebbe infatti lodato l’arte di Jeff Koons, definendo la sua arte “un percorso artitico che abbraccia i nostri tempi e la nostra america”. Secondo Yau inoltre, Saltz avrebbe copiato l’articolo da una storica recensione del 1952 scritta dal critico Frank O’Hara circa l’opera di Jackson Pollock.

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