Anche Art+Auction stila la sua lista dei potenti dell’arte contemporanea

Il mondo dell’arte ama le classifiche, le liste dei potenti, le hit parades di ciò che è più esclusivo dell’esclusivo. A noi queste cose fanno un poco sorridere, sembra quasi che ogni anno sorga la necessità di stilare il libro del Guinness dei primati (e non parliamo delle scimmie). Quindi, puntuali come l’elenco del telefono, le liste dei potenti dell’art scene invadono le prime pagine dei magazine ostentando la loro pretestuosità.

Si capisce che l’arte non ha bisogno di questo ma è innegabile che alcune personalità, nel bene e nel male, hanno in pugno le redini del sistema internazionale. Ecco quindi che Art+Auction ha diramato la sua consueta lista dei potenti denominata Power – the art world people who matter. Tra le tante personalità influenti ci risolleva un poco il fatto di vedere tre italiani posizionati nei ruoli chiave. Il curatore Massimiliano Gioni figura infatti nella sezione Power Curators, Massimo de Carlo è presente nella sezione dei Power Dealers e Fabrizio Moretti in quella denominata Power Of Tradition, dedicata ai dealers di arte antica e moderna.  Purtroppo nella sezione Power Collectors non abbiamo nessuna figura di rilievo, eppure in Italia esistono importanti collezionisti, anche se si sente la mancanza di un novello Giuseppe Panza di Biumo. Di seguito trovate i nomi presenti nelle varie categorie:

Quel critico è un pagato, quell’artista è raccomandato


I meccanismi nascosti all’interno del sistema dell’arte contemporanea sono vari e spesso poco comprensibili. Quello che però salta all’occhio è un certo comportamento diffuso da parte di pubblico ed addetti al settore che molto spesso si bassa sullo screditamento del lavoro altrui o comunque su di un negativismo imperante. Noi di Globartmag abbiamo raccolto una serie di frasi che avrete sicuramente udito almeno una volta se siete avvezzi all’arte contemporanea ed alla sua scena. Eccovi quindi uno stream of consciousness da far invidia pure al povero Joyce:

Quel critico è un pagato, quell’artista è raccomandato, il direttore di quel museo è un incompetente, i concorsi d’arte sono truccati e la giuria vota solo gli artisti che conosce quindi butterete i vostri soldi se deciderete di partecipare, quell’artista italiano che ha fatto una mostra all’estero non vale nulla, la biennale fa schifo, alla fiera non si è venduto nulla, gli artisti italiani copiano da quelli stranieri, la pittura è morta, i pittori adesso fanno i video artisti, i video artisti adesso fanno i pittori, ho iscritto la mia galleria ad una fiera e mi hanno fatto pagare una cauzione poi non mi hanno selezionato e si sono tenuti i soldi,

Citarsi addosso ma filosoficamente

Il citazionismo filosofico è l’ultima spiaggia di qualsiasi critico d’arte o meglio di qualsiasi individuo con la velleità di divenir tale. Si arriva al citazionismo proprio come in ascensore si discorre del tempo con una persona che non si conosce, come ad una cena fra amici si inizia a raccontar barzellette mentre si affetta il melone.

La misteriosa pulsione che scatena nella mente del giovane critico o del giovane giornalista il bisogno di ricorrere al citazionismo è qui di seguito illustrata. Mentre ci si trova a redigere un testo, affiora l’urgenza di descrivere le sperimentazioni di un determinato artista e l’essenza di un’opera con parole forbite, con concetti alti che illumino o rendano il tutto vagamente incomprensibile o che magari creino nel lettore il sospetto di aver a che fare con qualcuno che sa il fatto suo.

Se tornasse Cattelan/se non tornasse affatto

Su Globartmag abbiamo più volte criticato manifestazioni creative mirate al sensazionalismo ed al puro spettacolo. Maurizio Cattelan, in particolare è stato uno fra i nostri più bersagliati obiettivi, vuoi per la natura spettacolare della sua arte, vuoi per il suo continuo irridere un sistema che comunque lo alimenta.

Eppure, ai tempi della sua irruzione all’interno della scena, Cattelan aveva ben compreso che il carrozzone artistico nazionalpopolare doveva essere in qualche modo costretto ad una reazione, anche in termini negativi. Il revisionismo è forse una pratica squisitamente italiana e noi di Globartmag non possiamo sottrarci a questa consuetudine. Bisogna quindi ammettere che in questi tempi incerti in cui la fotografia si lascia sedurre da meraviglie del digitale che uniformano ogni scatto, in cui la pittura è ancora imbrigliata dalle estetiche della Nuova Scuola di Lipsia e le installazioni diventano sempre più minimal-pretestuose, le provocazioni del buon vecchio Cattelan ci mancano da morire.

Chi decide cosa è arte e cosa non lo è?

Dieci anni fa alcuni ricercatori americani divisero in due gruppi alcuni bambini di 3 anni. Gli studiosi mostrarono ai giovani pargoli una tela su cui era stata lasciata cadere un’enorme macchia di pittura. Ad un gruppo di bimbi i ricercatori dissero che la macchia era stata provocata da un vasetto di pittura caduta accidentalmente sulla tela. I piccolini si disinteressarono totalmente al dipinto e tornarono ad altre attività. Al secondo gruppo di bambini fu invece detto che quella macchia di colore era stata accuratamente creata per loro. I bambini si interessarono alla tela e cominciarono ad apostrofarla come “il dipinto”.

Per farla breve il secondo gruppo è stato condizionato dal giudizio di un adulto, una persona fidata e competente quindi. Questo esperimento condotto da Paul Bloom e Susan Gelman, dell’università di Yale è oggi il fulcro di un nuovo libro che si interroga sul nostro modo di relazionarci all’arte contemporanea. La pubblicazione dal titolo How Pleasure Works (come funziona il piacere), da poco uscita negli States, asserisce che il puro giudizio estetico non esiste.

Apre Art Hk 10 ed intanto a Roma la fiera diventa troppo mondana

Dal 27 al 30 Maggio torna Art Hong Kong edizione 2010, la grande fiera internazionale che con soli tre anni di attività si è messa in evidenza come la più importante manifestazione asiatica legata all’arte contemporanea. Certo non siamo ancora ai livelli delle altre fiere internazionali ormai universalmente riconosciute ma i segni di crescita sono evidenti, anno dopo anno. Va detto inoltre che se Frieze, ad esempio, riesce a catalizzare l’attenzione di 60.000 visitatori, Art HK la tallona con circa 30.000 visitatori, niente male per una manifestazione nata da poco. Quest’anno il numero di gallerie partecipanti è di 150, provenienti da circa 29 paesi differenti e durante le selezioni sono state lasciate a piedi altre 150 gallerie.

Ovviamente ogni fiera che si rispetti mira al successo di vendite ma, a dispetto delle tante presenze, le vendite non vanno di pari passo con i grandi numeri. Secondo Matthew Slotover, co-fondatore della Frieze Art Fair, l’ 80% delle persone in fiera curiosano in giro senza comprare assolutamente nulla. Dati alla mano si potrebbe quindi tranquillamente affermare che le fiere d’arte contemporanea siano divenute una sorta di appuntamento culturale più che commerciale. Questo ragionamento potrebbe essere valido anche per le manifestazioni fieristiche italiane, ovviamente con le dovute eccezioni. Prendiamo ad esempio Roma, The Road to Contemporary Art, manifestazione fieristica che tornerà anche quest’anno dal 27 al 30 maggio 2010 nella nuova sede del Macro Testaccio.

La scena dell’arte analizzata da Jennifer Dalton e William Powhida

Fino al 20 marzo prossimo la Edward Winkleman Gallery di New York ospiterà un’interessante serie di incontri intitolati #class, eventi mirati al dialogo a 360 gradi a cui possono partecipare artisti, critici, dealers, collezionisti e chiunque abbia voglia di partecipare ed esaminare il modo in cui l’arte contemporanea viene create e viene fruita. Il dialogo in galleria sarà anche mirato ad identificare e proporre alternative capaci di riformare il presente sistema dell’arte ed il mercato in genere.

Per sistema dell’arte si intende sia una precisa rete di dealers, gallerie e musei che agisce ed espone artisti caratterizzati da una precisa estetica uniformata, oltre che una vera e propria architettura economica intangibile e non quantificabile ove regnano favori reciproci e meccanismi sepolti. L’idea di questa nuova e rivoluzionaria serie di brainstormings collettivi è stata partorita da Jennifer Dalton e William Powhida, due artisti che hanno contribuito a mettere in luce alcune logiche non troppo chiare nascoste dietro la gestione del New Museum di New York. 

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