Mirko Smerdel alla Jarach Gallery di Venezia

Jarach Gallery è lieta di presentare “SHE’S LOST CONTROL”, mostra personale di Mirko Smerdel.  Il montaggio concettuale del lavoro di Mirko Smerdel (Firenze, 1978) è frutto di un’indagine sui significati del simbolismo architettonico, in cui si può riconoscere un approccio archeologico di pensiero e di ricerca verso l’immagine. Ispirandosi a una frase grafitata sui muri del cantiere del quartiere Isola a Milano, l’artista costruisce una narrazione visuale che mostra i luoghi testimoni di aggressive trasformazioni urbane e lotte politiche.

 “I vostri Grattacieli sono macerie prima ancora di essere costruiti” richiama così sia immagini dei progetti edilizi in via di sviluppo, che foto d’epoca del quartiere Isola, che i famosi skyscrapers americani, nascenti negli stessi anni della costituzione della Comune di Parigi, di cui Place Vendôme rimane simbolo. Attraverso associazioni d’idee, Smerdel contestualizza l’architettura futura del quartiere Isola, facendo risaltare l’operazione d’espropriazione d’identità che la costituisce. Aria Spinelli

Notes On Camp, ciclo di tre mostre alla Jarach Gallery

La Jarach Gallery di Venezia inaugura l’11 febbraio il progetto Notes On Camp, ciclo di tre mostre che caratterizzeranno la sua programmazione primaverile. L’idea di Andrea Bruciati, che ne è il responsabile scientifico, parte dalle premesse concettuali del celebre saggio di Susan Sontag ponendolo in relazione con la produzione artistica più aggiornata ed evidenziando sia la singolarità che la stringente attualità dei suoi assunti.

The essence of camp is its love of the unnatural: of artifice and exaggeration, dichiarava Susan Sontag (Notes On Camp,1964). Ma di quale artificialità, innaturalità, si può oggi parlare; in un’epoca dove il postmodernismo ha rimescolato le carte di qualsiasi analisi strutturale ed etica concernente la ricerca in ambito estetico, e non solo. Il Camp si colloca in modo ambivalente in questo discorso di potere: è un processo veicolare mirante a la trasgressione/rivoluzione tout-court o un’ambigua pratica nei confronti della cultura dominante, perché si pone all’interno delle sue stesse modalità ed ha come oggetto la rivisitazione dei suoi stessi contenuti? Sta di fatto che un atteggiamento camp ben si adatta alla creatività narcisistica dell’artista che rivendica l’autonomia della sua creatività da ogni infingimento inquinante per poi dover di fatto trovare forme di compromesso plausibili per la sua accettazione.

ArtVerona – Pensieri sparsi sull’essere fiera

Recensire una fiera è problematico per svariati motivi: il primo, banalmente, è che sono fatte dentro a brutti edifici fieristici, il secondo è che effettivamente io non ne so nulla di come si organizza una fiera e mica è facile confrontarsi con amministrazioni pubbliche e private per cercare di far quadrare il cerchio. ArtVerona poi, non me ne voglia, non è una grande fiera e non è meramente una questione di spazi. Gli addetti ai lavori ben sanno quanto sia difficile riempire gli stand delle fiere che non si chiamano Art First o Artissima (per citare quelle italiane che hanno un po’ d’appeal sul gallerista), e va da se che se non si ha la fama per fare i preziosi, a volte ci si tappa il naso. Che poi bisogna pur sempre dire che la selezione è sempre una questione soggettiva.

Il fatto è che riguardando i miei appunti ritrovo solo i nomi di gallerie ed artisti che già apprezzavo e conoscevo, come Laurina Paperina portata da Studio d’arte Raffaelli di Trento, Silvia Vendramel da De Faveri Arte (Sovramonte – BG), Paolo Cavinato dalla Galleria Mazzoli di Berlino. Interessante lo stand della Otto gallery con Andrea Facco e Gianni Moretti. Rivelazione della fiera è stata la Jarach Gallery di Venezia: artisti originali, con una ricerca decisamente contemporanea sia per scelte stilistiche che tematiche, e una coerenza espositiva generale nello spazio della fiera. 

Kensuke Koike alla Jarach Gallery di Venezia

Non c’è archivio, né accumulo di tempo in Kensuke Koike (dal 3 settembre al 29 ottobre 2011) ma organico fluire delle forme che trasmigrano da un’immagine all’altra. Non siamo solo dinanzi a quel trovato o ritrovato che svela il processo cognitivo di ricollocazione del senso e dello sguardo, ma dinanzi alla creazione di altro, nato per gemmazione e che risponde ad esigenze di vita autonoma. Non vi è solo un recupero di riproduzioni obsolete per una inedita semiologia dell’immagine, ma questa viene adoperata di nuovo con lo scopo di costruire un organismo differente, perennemente in connessione. Come nel filmato rielaborato o nella composizione-manifesto, l’opera perde la sua funzionalità, la referenzialità con il reale, rivelando così non solo il suo doppio ma una miriade di vettori che accrescono le sue potenzialità immaginative.

La discussione non verte più sul binomio verità / finzione ma sull’analisi del processo di posizionamento continuo di senso, quale condizione ontologica di fronte al reale e alla sua rappresentazione. L‘incongruità apparente quindi è un processo che si compie per accostamento, per illustrare un nuovo testo e rendere visibile la dimensione dialogica che intercorre fra il significato originario e sconosciute concatenazioni narrative.

I luoghi e i non-luoghi del Ventre dell’Architetto

Il 3 settembre in occasione della 12 Biennale di Architettura di Venezia, Jarach Gallery e Galleria Pack inaugurano The Belly of an Architect, progetto congiunto in cui si presenta una selezione di circa 20 opere dei migliori artisti di entrambe le gallerie che indagano il tema dell’architettura come punto d’incontro. La mostra è a cura di Martina Cavalarin.

Il titolo, ripreso dalla pellicola di Peter Greenaway,The Belly of an Architect – proiettato durante la mostra – indica appunto l’approccio attraverso cui gli artisti che indagano il tema dell’architettura, entrano nelle viscere dei luoghi e dei non-luoghi, delle geografie e delle storie dell’anima e del corpo. Se i muri degli edifici rappresentano lo scheletro dell’uomo, il file rouge della mostra è interpretato attraverso riservate assenze o oniriche presenze, proiezioni autoriflessive o architetture post-industriali, luoghi claustrofobici e paesaggi oscuri, ombre e rifugi, palazzi luminescenti e boscaglie incantevoli e sfuggenti, cattedrali magiche e stanze fatiscenti.

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