Il conflitto di interesse esiste anche negli Stati Uniti e non solo dalle nostre parti. Grazie al conflitto di interesse,le istituzioni artistiche made in U.S.A. sono “dirette verso il baratro con Jeffrey Deitch alla guida” stando a quanto affermato da Jason Edward Kaufman su Artinfo. Il problema è che Deitch non ha mai smesso di essere un dealer e la sua nomina a direttore del MOCA ha trasformato il museo in una grande galleria privata istituzionale, senza alcun controllo.
jeffrey deitch
A Los Angeles vogliono la testa di Jeffrey Deitch
Ulteriore svolta al negativo nel giallo MOCA. Come ben ricorderete il museo è stato negli ultimi giorni al centro giorni di numerose polemiche dopo l’ingiusto licenziamento di Paul Schimmel, curatore capo del museo in carica da oltre 22 anni. Schimmel ha innescato una girandola di eventi che fanno capo ad un unico responsabile, vale a dire Jeffrey Deitch.
La scellerata gestione di Deitch, che di fatto ha trasformato il MOCA in una galleria privata ultrapop, non accenna a cambiare di una virgola. Il museo losangelino ha infatti già messo in programma una mostra chiamata Fire in the Disco, vale a dire una retrospettiva ragionata sulla storia della disco couture sul suo impatto sull’arte.
Il MOCA e le mostre-discoteca
Il licenziamento di Paul Schimmel da curatore capo del MOCA di Los Angeles, giunto dopo 20 anni di onorata carriera, ha gettato sinistre ombre sui vertici della prestigiosa istituzione. Secondo alcune voci interne, Schimmel non ha mai completamente digerito la programmazione del direttore Jeffrey Deitch e questi non ha fatto altro che porre fine agli attriti liberandosi del problema alla radice.
La scellerata gestione di Deitch, che di fatto ha trasformato il MOCA in una galleria privata ultrapop, non accenna a cambiare di una virgola. Il museo losangelino ha infatti già messo in programma una mostra chiamata Fire in the Disco, vale a dire una retrospettiva ragionata sulla storia della disco couture sul suo impatto sull’arte, sulla moda e sulla musica in generale.
La critica si scaglia contro Deitch
La brutta vicenda tra Jeffrey Deitch ed il curatore capo del MOCA, Paul Schimmel continua imperterrita a generare un nugolo di polemiche. Come ben ricorderete, Schimmel era stato vittima di un defenestramento decisamente barbaro. A causa dei continui fraintendimenti con il volpone Deitch, il povero Schimmel (che come ricordiamo vanta un’esperienza ventennale nel ruolo di curatore capo del MOCA di Los Angeles) era stato prontamente allontanato dal board guidato dal magnate Eli Broad.
Successivamente il MOCA non aveva dato spiegazioni alla stampa, salvo poi salvarsi in corner con un comunicato stampa a dir poco ridicolo. Ebbene , a queste dichiarazioni che nascondono una palese ipocrisia, hanno risposto alcuni professionisti del settore, vediamo ad esempio cosa pensano dell’intera faccenda due voci d’eccezione come Tyler Green e Christopher Knight .
Paul Schimmel e l’oscuro licenziamento dal MOCA
Molti di voi penseranno che il pasticciaccio del MAXXI sia un affare squisitamente italiano o romano che dir si voglia. La realtà è che i valzer di poltrone e i defenestramenti di personaggi scomodi non sono un nostro diritto riservato. Anche all’estero infatti vengono perpetrate barbarie molto simili a quelle del nostro belpaese. Parliamo quindi del MOCA, Museum of Contemporary Art di Los Angeles, guidato da quel volpone di Jeffrey Deitch che di nefandezze ne ha già una sporta piena, basti pensare alla censura al murale di Blu ed altre storie simili.
Questa volta il caso in questione è il bizzarro licenziamento del curatore capo della prestigiosa istituzione, vale a dire Paul Schimmel. Quest’ultimo è da 22 anni alla direzione dello staff curatoriale del MOCA, praticamente una sorta di Alex Ferguson alla guida del Manchester United. Tra Schimmel e Deitch non è mai corso buon sangue ed alla fine il grande “vecchio” del board del museo, Mr. Eli Broad ha deciso di far fuori il curatore.
Sempre meno arte, sempre più economia
Le aziende sono fondate sui principi dell’economia moderna, quadrature di bilanci e manovre tecniche per ottimizzare la produzione riducendo i costi sono quindi il motore centrale che alimenta questo tipo di organismi votati al commercio. Negli ultimi anni questo modus operandi si è esteso a macchia d’olio inglobando anche la res publica, non a caso parlando dell’Italia si è cominciato ad utilizzare la definizione di azienda-stato, questo per sottolineare un comportamento sempre più attento alle logiche di mercato ed alle dinamiche del bilancio interno.
Con il passare del tempo questa “febbre” dell’economia è riuscita a spodestare le questioni politiche e sociali, riducendo il tutto ad una faccenda di numeri. Questo passaggio dall’aspetto per così dire filosofico a quello teorico si è da tempo innescato anche nel mondo dell’arte ed in special modo nelle istituzioni museali. I direttori dei musei sono oramai degli abili manager, degli amministratori in grado di far quadrare i conti e di stringere rapporti con gli altri musei-azienda sparsi per il mondo.
Deitch e Schimmel, lotte di potere al MOCA
Il mondo dell’arte contemporanea non è certo definibile come un paradiso terrestre popolato da persone che si aiutano a vicenda e che perseguono unite gli stessi interessi in nome della creatività e della cultura. Sin troppo spesso invidie, risentimenti, problemi di natura economica ed altre questioni personali minacciano il corretto svolgimento di un evento, screditano le reputazioni degli artisti o semplicemente precludono a molti i benefici di cui godono i soliti pochi.
Per dare un poco la misura di quanto precedentemente affermato, potrebbe risultare utile leggere quanto scritto di recente da Paul Klein sull’Huffington Post riguardo una baruffa al MOCA, Museum of Contemporary Art, Los Angeles diretto da Jeffrey Deitch: “La mostra di Theaster Gates, in visione al MOCA è veramente potente ma totalmente fuori luogo se paragonata all’altro evento attualmente ospitato nelle grandi sale della celebre istituzione. Più del 90 percento della superficie espositiva è occupato da una gloriosa mostra intitolata Under the Black Sun: California Art 1974-1981.
Shepard Fairey torna in strada dopo la brutta figura
Poche settimane fa, durante una video intervista comparsa su un’emittente americana e successivamente rimbalzata su Youtube, Shepard Fairey aveva avuto un acceso diverbio con sua moglie. A noi questo potrebbe anche non interessare se non per il fatto che la litigata è scaturita da una risposta della moglie del celebre street artist che aveva anticipato quella del marito. “Vai ancora in strada a compiere personalmente le tue azioni?” aveva chiesto l’intervistatore a Fairey, ma la moglie aveva risposto con un divertito: “Era tanto tempo fa, ora no!”.
Ovviamente si tratta del segreto di pulcinella, tutti gli appassionati di Street Art sanno benissimo che dopo i primi grandi successi, Fairey ha totalmente smesso di “sporcarsi le mani” ed ha messo in piedi uno studio con tanto di assistenti che provvedono ad attaccare i suoi posters, quando non espone in gallerie e musei.
Il Brooklyn Museum non vuole la street art
Cose strane succedono nel mondo della street art o forse sarebbe meglio dire: cose strane succedono alla street art quando c’è di mezzo anche Jeffrey Deitch. Colpevole di aver oscurato il murale di Blu, il direttore-volpone del MOCA di Los Angeles aveva poi lanciato la grande panoramica sulla street art intitolata Art in The Streets. Ebbene, la mostra in questione doveva in seguito migrare al Brooklyn Museum di New York e rimanere in visione dal 30 marzo all’8 luglio 2012.
Qualcosa però è andato storto ed i vertici del Brooklyn Museum hanno deciso di cancellare l’intera manifestazione. Sulle prime il museo ha emanato un comunicato stampa dove si parla di problemi finanziari, tali da non poter assicurare il corretto svolgimento di Art in The Streets. La realtà è però ben diversa ed alcune spiegazioni a questo strano comportamento le aveva già fornite il New York Daily News in un articolo apparso lo scorso aprile.
Il museo te lo paga Banksy
Ancora una volta la grande panoramica sulla street art dal Art in the Streets, fortemente voluta da Jeffrey Deitch nel suo MOCA di Los Angeles, torna a far parlare di sé. La mostra ha ricevuto critiche freddine da parte della stampa di settore ed in seguito la polizia losangelina ha attuato una dura politica di repressione contro gli street artist locali che in onore della grande mostra, avevano iniziato a creare le loro opere nei dintorni del museo “imbrattando i beni pubblici” o almeno questa è la tesi sostenuta delle autorità.
La street art, lo dice il termine, è una forma artistica nata per essere creata e fruita liberamente nel contesto urbano. Con le mostre nei musei però le cose cambiano, ad esempio il biglietto d’ingresso di Art in the Streets costa 10 dollari, una cifra che molto spesso non tutti possono permettersi, specialmente i più giovani. Ad ovviare a questo problema ci ha pensato Banksy, che in questi giorni ha compiuto una delle sue azioni ad effetto.
Alla Biennale di Venezia c’è anche James Franco contro James Dean
Ammettiamolo, noi di Globartmag lo abbiamo preso in giro per parecchio tempo, lo abbiamo inserito anche in un articolo che parlava delle aspirazioni artistiche delle star di Hollywood. Eppure il buon vecchio James Franco ce l’ha fatta sotto il naso ed è riuscito ad arrivare fino alla Biennale di Venezia. Ora potrete anche dire: “quando sei ricco e famoso tutti ti concedono tutto” ma questo è il dorato mondo dell’arte baby e non puoi farci niente.
Partendo dalla prima mostra personale da Peres Project di Berlino fino all’ultima da Gagosian Beverly Hills, Franco arriva a Venezia più agguerrito che mai e sempre più determinato ad entrare nel giro degli artisti che contano. D’altronde la cosa non ci pare molto difficile visto che negli ultimi tempi l’arte contemporanea è sempre più vicina ad una forma di spettacolo un poco più diluita e melensa .Il progetto prende il titolo di Rebel e sarà curato da Dominic Sidhu.
Invader arrestato dalla polizia di Los Angeles
E se Jeffrey Deitch ed il suo MOCA fossero una disgrazia per la street art? Ipotesi improbabile ma non impossibile, ma andiamo per gradi. Deitch è un accanito sostenitore (e dealer) della street art ma questo non gli impedisce di compiere uno scellerato atto di censura ai danni del nostro eroe nazionale Blu. In seguito il buon Jeffrey, in parte per riparare al suo strappo, decide di lanciare nel suo MOCA la grande mostra Art In The Streets, accolta da giudizi abbastanza freddi da parte della critica.
Ma i guai non sono finiti: grazie al grande richiamo della mostra molti street artists locali decidono di creare tags e murales nelle vicinanze del MOCA. Per tutta risposta la polizia losangelina monta su tutte le furie e lancia una grande caccia alle streghe contro ciò che viene etichettato come puro vandalismo. Ecco quindi che la maledizione di Deitch si abbatte contro un altro grande esponente della street art internazionale vale a dire Invader.
Siamo ancora fermi a parlare di Street Art e vandalismo
Art in the streets, la nuova mostra “definitiva” sulla street art lanciata da Jeffrey Deitch nel suo MOCA di Los Angeles non sta raccogliendo le critiche positive che in molti si aspettavano. Molti magazine d’arte statunitensi hanno infatti bollato la mostra con un “niente di nuovo sotto il sole” che ci lascia un poco stupefatti, specialmente dopo che il volpone Deitch aveva annunciato Art in The streets come la prima grande mostra dedicata a questa meravigliosa tecnica artistica.
Alle polemiche per così dire di settore si sono però unite quelle della polizia di Los Angeles che in questi giorni è alle prese con una bizzarra vicenda legata alla mostra ospitata dal MOCA. Va detto che molti fans hanno comunque gradito l’evento: “Sono contento di poter vedere che la street art è stata promossa da vandalismo a vera e propria forma espressiva. Los Angeles poi è la patria della street art e questa mostra è un vero e proprio riconoscimento” ha dichiarato Greg Linton, un art blogger che spesso scrive articoli riguardanti la scena street locale.
Io ho scoperto la Street Art!
Hyperallergic, scoppiettante piattaforma web dedicata all’arte contemporanea made in U.S.A., ha pubblicato in questi ultimi giorni un divertente articolo sulla mostra di Street art organizzata dal volpone Jeffrey Deitch nel suo MOCA, vale a dire Art in The Streets (in visione fino al prossimo 8 agosto 2011). Come ci fa notare l’irriverente blog, nel 2008 la mostra Street Art al Tate Modern venne annunciata come “la prima grande mostra dedicata alla street art“.
Oggi anche Jeffrey Deitch ribadisce che la sua Art in The Streets è “la prima mostra dedicata alla street culture“. Prendendo spunto da questo articolo, vorrei ricordare al pubblico che persino la mostra Street Art, Sweet Art, curata da Alessandro Riva al PAC, Padiglione D’arte Contemporanea di Milano nel 2007, fu allora definita come “il primo grande evento” di Street art. Anche Vittorio Sgarbi ha più volte dichiarato di aver “sdoganato” per primo questa meravigliosa forma artistica.