A chi servono le fiere?

La defezione di Francesco Manacorda da Artissima Torino (verso i più fertili lidi della Tate Liverpool) ha giustamente dato inizio al totofiera. Forse Andrea Bellini tornerà  al comando o forse sarà invece Roberto Casiraghi già patron della fiera romana a riprendere in mano le redini della prestigiosa kermesse torinese? Il punto della situazione è però un altro.

Le fiere sono un innegabile opportunità per il mercato, molti dealers internazionali hanno più volte ribadito l’importanza di queste manifestazioni ed alcuni di loro le hanno addirittura elevate ad unico strumento di vendita. Il problema è che non tutti possono accedere a questo strumento. Girano infatti molte voci attorno alle fiere italiane, alcune di esse sono ormai delle conferme, altre invece non sono mai state confermate ma ad ogni piè sospinto rispuntano puntualmente dal nulla a ravvivar interrogativi mai chiariti. Le selezioni per accedere alle fiere ad esempio rappresentano un nodo mai sciolto.

Criticare (solo) quando si deve

Personaggio non proprio facile il nostro Jean Clair, curatore e critico d’arte contemporanea di fama internazionale che nel corso della sua carriera ha inanellato una lunga serie di successi ma anche di lunghi scivoloni. E’ ormai storico il rifiuto del grande Gino De Dominicis riguardo la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1995, per l’occasione l’artista immortale indirizzò al critico una lettera con su scritto: “Le mie opere non vogliono essere esposte alla XLVI Biennale di Venezia”.

Ebbene, arriviamo al nocciolo della questione: in un intervista fiume apparsa proprio stamani fra le pagine di Repubblica, Clair attacca duramente la scena ed il mercato dell’arte contemporanea. Si tratta di un assalto all’arma bianca a ciò che sino ad oggi gli ha dato da mangiare: “I musei sono come Disneyland”, “la gente si trova dentro al museo di arte contemporanea e non capisce quello che vede”, l’arte è ormai ostaggio del mercato”. Questi sono gli argomenti di Clair ed intanto, tra una bordata e l’altra non perde l’occasione di pubblicizzare il suo nuovo libro.

Arte contro tutti, quando la scena diventa troppo esclusiva

 
Patinato ed allo stesso tempo ultra-esclusivo, il mondo dell’arte contemporanea non è mai stato così incastrato in tic e contraddizioni come in questi ultimi tempi. Al grido di “l’arte non può essere accessibile a tutti”, parafrasando un seppur ben più illuminato Carmelo Bene, le direzioni di molte prestigiose manifestazioni fieristiche hanno da tempo deciso di operare una scrematura delle gallerie partecipanti, permettendo l’accesso in fiera solamente a quei dealers che a loro parere rappresentano la creme de la creme della scena. Chi non fa parte della lista non può essere considerato un attore principale del mercato.

Lo stesso dicasi per molti premi e concorsi d’arte che hanno scelto di istituire una formula a chiamata diretta. Gli artisti invitati sono accuratamente scelti dai selezionatori e solitamente sono spalleggiati da gallerie private che “contano”. Nessun’altro può partecipare ed il pubblico da casa può solo leggere sui magazine del settore il nome dei vincitori dei tanto agognati premi. Nella peggiore delle ipotesi anche le cerimonie di premiazione sono a numero chiuso.

India al top del mercato? Gli stessi indiani dicono di no

Negli ultimi tempi si è rafforzata una convinzione condivisa da molti attori del nostro sistema sistema, sarebbe a dire quella dell’imminente ingresso all’interno del mercato dell’India. Questo poiché, in prima istanza, la “Cina dalle uova d’oro” ha esaurito i suoi magici poteri ammaliatori, assestandosi su livelli di mercato nettamente inferiori rispetto agli anni del boom. La seconda prova della rivoluzione indiana sono i tanti talenti emergenti che non vedono l’ora di irrompere nella scena. La terza prova è il recente interessamento di alcune piattaforme italiane all’arte made in India.

Sebbene l’India sia in netto miglioramento rispetto al passato, essa non dispone ancora di mezzi adatti ad intraprendere la dura battaglia del mercato internazionale. Per offrire una prova tangibile di ciò, basti dare un’occhiata a ciò che ha scritto Sunil Sethi su India Today il 15 luglio scorso all’interno dell’articolo La crisi d’identità delle gallerie: “Se le gallerie d’arte rappresentano per certi versi un riflesso diretto della situazione dell’arte nel paese, allora la situazione è davvero molto povera. Dipende, ovviamente, su ciò che è compreso da una galleria d’arte, ma in generale, la comunità artistica ha un po’ oscuro, visione idealistica del soggetto.

Cancellata la tappa londinese di Scope Art Fair

Una notizia dell’ultima ora ha creato non poca apprensione nel già agitato mondo del mercato dell’arte contemporanea internazionale. Sembrerebbe infatti che la prestigiosa e consueta edizione annuale di Scope Art Fair, già fissata per il periodo dal 13 al 16 ottobre prossimo in quel di Londra, sia stata definitivamente cancellata.

Secondo quanto annunciato da un portavoce della manifestazione, le cause di questa defezione sarebbero da attribuirsi al clima di tensione politico ed economico delle ultime settimane. In parole povere i tumulti di Londra, con le relative sommosse popolari, gli incendi ed i saccheggi, si sono mescolati con i crolli delle borse internazionali, creando un mix letale che ha costretto Scope ad un brusco dietro front. Meglio evitare manifestazioni legate ai beni di lusso in tempi dove la maggior parte della popolazione naviga nella povertà. E dire che proprio quest’anno Scope Art Fair doveva ritornare nella sede di East End, dopo due anni di assenza.

Frieze approda a New York

La Frieze Art Fair è una delle piattaforme di mercato più prestigiose del mondo. Solitamente il quartier generale di questa fiera è Londra ma da ora in poi Frieze potrebbe andare in “tour” anche negli Stati Uniti. Tempo fa alcune voci di corridoio davano per certa la tappa a stelle e strisce della celebre fiera. Ora però le voci sono divenute realtà ed i vertici della manifestazione hanno annunciato con orgoglio la grande notizia. Frieze edizione U.S.A. seguirà più o meno le dinamiche della sorella londinese, le gallerie partecipanti saranno più o meno 170 ed il tutto si svolgerà a Randall’s Island, situata sull’East River di New York City.

La fiera sarà inaugurata nel 2012 e si svolgerà dal 3 al 6 maggio, vale a dire proprio a due mesi di distanza dall’Armory Arts Week e con un cospicuo vantaggio su Frieze edizione Londra che come di consueto si tiene in ottobre. Inevitabilmente, questa nuova manifestazione di mercato non farà altro che focalizzare ancor di più l’attenzione sulla Grande Mela che sembra lanciatissima nel segmento arte contemporanea.

Secondo dialogo sul sistema dell’arte con Luca Rossi

Luca Rossi: Recentemente ho letto un tuo articolo relativo alla situazione del sistema italiano dell’arte contemporanea. Parlo di sistema per identificare: istituzioni, artisti, riviste, nuove riviste, gallerie giovani international, gallerie italiane, gallerie che ci provano, gallerie storiche, musei, fondazioni, artisti che inviano application, artisti che girano per mercatini alla ricerca di libri e foto usate, opening con apertitivi e relazioni tra l’amichevole e l’interessato, associazioni no profit, spazi no profit, tanti spazi, tante opere, tanti progetti, assegnazione di studi d’artista, scuole d’arte, istituti d’arte, accademie con vecchi programmi, programmi di formazione, collegamenti tra curatori italiani e curatori esteri, acquisizioni di opere che sono passate in biennale, premi, premi ogni giorno, residenze all’estero, residenza in italia, workshop e mostre collettive, assenza di un pubblico vero, critici poco critici ma molto artisti, fanzine giovanilistiche come Mousse e Kaleidoscope che sono più che altro progetti artistici più attenti al contenitore che al contenuto, Flash Art, Exibart, i commenti di Exibart, collegamenti tra scuole e istituzioni.

Tutto questo pensando che il giovane operatore di oggi sarà l’operatore professionista di domani. Tutto questo avendo ben chiaro che l’italia ha un ruolo marginale rispetto al sistema internazionale, ma che può essere considerata una caso di studio unico al mondo per via di alcune congiunture e specificità culturali, politiche e sociali. “Toccare il fondo” potrebbe e dovrebbe essere propulsivo per la definizione di giovane artista che ci piace di più. Non godere di economie forti rispetto Inghilterra, Germania, Svizzera o Stati Uniti può diventare un elemento propulsivo sul piano del linguaggio. Esattamente come potrebbe essere utile non avere istituzioni troppo strutturate e rigide, sempre rispetto la definizione che ci piace di più di arte contemporanea. In fondo quest’ Italia costringe ad una messa in discussione quotidiana, e questo può essere utile per tutti; anzi forse dovrebbe essere una principio cardine del contemporaneo. Io credo che in questa fase storica l’Italia sia, nel bene e nel male, estremamente contemporanea. Cosa ne pensi?

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