3.200 canne di bambù al Metropolitan Museum di New York

Da quando, 12 anni fa, il Metropolitan Museum of Art di New York ha deciso di presentare mostre d’arte sui suoi tetti, centinaia di migliaia di visitatori hanno avuto la possibilità di ammirare meravigliose sculture ed installazioni create da grandi nomi dell’arte contemporanea come Jeff Koons, Ellsworth Kelly, Roy Lichtenstein e Roxy Paine.

Molti degli artisti facenti parte del progetto hanno presentato opere  fuori dal comune come l’artista Cai Guo-Qiang che nel 2006 ha creato Clear Sky Black Cloud una sorta di fuoco d’artificio tinto di nero sparato ogni mezzogiorno dal Roof Garden che disegnava nel cielo una sorta di nuvola oscura. Oggi però, in occasione della 13esima installazione, Gary Tinterow, curatore della sezione di arte moderna e contemporanea del 19esimo secolo del Met, ha deciso di presentare qualcosa di ancor più ambizioso.

Patti Smith e Steven Sebring, gli oggetti di una vita in mostra alla Robert Miller Gallery di New York

Objects of Life, la mostra di Patti Smith e Steven Sebring si è aperta lo scorso 6 gennaio alla Robert Miller Gallery (e rimarrà in visione fino al 6 febbraio) di New York con annesso bagno di folla come spesso succede durante le incursioni artistiche della nostra amata poetessa-cantante.

Come ben ricorderete nell’ottobre del 2009 Patti Smith aveva cantato in occasione di una retrospettiva dedicata a Robert Mapplethorpe in una galleria di Londra ed anche lì la folla oceanica aveva quasi impedito il corretto svolgimento della manifestazione. In più questa volta alla Robert Miller Gallery sono comparsi il fashion designer Calvin Klein con i colleghi Zac Posen e Jonah Lindeberg, la fotografa Mary Ellen Mark, il documentarista Albert Maysles, gli acclamati artisti Jonas Mekas e Ryan McGinley, l’attrice Jessica Lange e come se non bastasse questa lunga lista di celebrità è stata completata dal cantante dei R.E.M. Michael Stipe, vecchio amico di Patti Smith.

Il Moma celebra Gabriel Orozco, genio dell’inaspettato

 16 anni sono passati da quando il MoMa ha presentato l’innovativa creatività dell’artista concettuale Gabriel Orozco al grande pubblico. Con la sua natura ironica e lirica l’artista si oppose alla natura monumentale dei trend artistici degli anni ’80 mediante una ridefinizione del concetto di bellezza e focalizzando l’attenzione su dettagli inaspettati, memorie quotidiane ed esperienze personali.  In questi giorni (precisamente dal 13 dicembre 2009 al 1 marzo 2010) la celebre istituzione museale newyorchese ha deciso di dedicare un’importante retrospettiva al genio dell’artista messicano classe 1962 intitolandola semplicemente Gabriel Orozco.

All’interno della mostra sarà possibile ammirare una vasta collezione di opere dell’artista, alcune delle quali sono divenute estremamente popolari tra gli appassionati d’arte di tutto il globo. Pezzo forte della mostra è la scultura intitolata La DS del 1993, un’automobile della citroen (una ds per l’appunto) chirurgicamente ridotta di tre terzi. La mostra presenta anche un’altra celebre opera di Orozco, si tratta di Black Kites del 1997, costituita da un teschio umano coperto da una griglia di grafite. Gran parte delle opere sono in mostra per la prima volta a New York e offrono una vasta prospettiva del lavoro dell’artista dai piccoli oggetti, sino ai dipinti ed ai lavori su carta.

Conrad Shawcross, il nuovo talento londinese con le spalle coperte

La IBM – International Business Machines, celebre azienda americana di computer ospiterà nei suoi locali di New York una bizzarra scultura. Nel mese di maggio 2010 verrà infatti installata una sorta di macchina costruita con acciaio e legno che annoderà dei fili formando una corda. L’opera presentata dalla galleria PaceWildenstein è una creazione dell’artista inglese Conrad Shawcross. Una simile opera titolata Chord ed installata per tutto il mese di novembre nella Kingsway tramway station di Londra è stata successivamente venduta dalla Victoria Miro Gallery per la ragguardevole cifra di 390.000 dollari.

“La mia ricerca ha a che vedere con il tempo, lo spazio e la cosmologia, i rocchetti di filo che formano lentamente la corda possono esser letti come pianeti che trascorrono una loro linea temporale all’interno della loro storia collettiva. Ma le possibilità interpretative sono assai vaste, molto spetta allo spettatore”. Ha dichiarato l’artista in una recente intervista. Le corde sono alla base della sperimentazione di Conrad Shawcross come in Nervous System (2003) installazione presentata in occasione della sua prima mostra personale. L’opera fu successivamente acquistata dal celeberrimo Charles Saatchi e questo fu un vero e proprio colpo di fortuna per l’artista ancora ventenne che vide schizzare le sue quotazioni in un battibaleno.

Francesco Bonami e la Whitney Biennial 2010 ai tempi della crisi

L’edizione della newyorchese Whitney Biennial 2010 non sarà solo un’importante occasione per osservare i nuovi trend dell’arte contemporanea internazionale. La manifestazione infatti rifletterà in pieno l’andamento sociale ed economico dell’intero globo. In questi tempi di recessione l’evento ha quindi deciso di rimpicciolire la sua offerta passando dai 100 artisti del 2006 e gli 81 del 2008 sino ai 55 della presente edizione. Anche la superficie espositiva sarà ulteriormente ridimensionata e verrà unicamente contenuta nel Whitney Museum of American Art invece di allargarsi su una seconda location come nella Biennial del 2008 quando fu occupato gran parte della Park Avenue Armory.

La grande manifestazione si terrà dal 25 febbraio 2010 sino al 30 marzo e sarà curata dal nostro Francesco Bonami assieme a Gary Carrion-Murayari giovane assistente curatoriale che ha già fornito il suo valido aiuto nelle edizioni 2004 e 2006. Quest’anno la Whitney Biennial presenterà un interessante mix di artisti e di generazioni visto che l’offerta spazia da Tam Tran, giovane fotografa di 23 anni, sino ad arrivare all’artista concettuale Lorrain O’Grady di 75 anni. Tra i nomi di spicco della scena internazionale saranno presenti George Condo, Piotr Uklanski e Charles Ray autore dell’attesissima e misteriosa opera Boy With a Frog commissionata da Francois Pinault per Punta Della Dogana nel corso della passata edizione della Biennale di Venezia.

Maximum Perception, arriva l’anti-Performa

L’incredibile successo della performance sta trainando una serie di nuovi eventi legati a questo affascinante media. Forse tale appeal è legato all’unicità ed alla possibilità di fruire in prima persona ad una forma di creatività attiva e coinvolgente. Sta di fatto che oltre a Performa, la biennale della performance, la città di New York ha pronto un altro grande evento dedicato alla performance. Si tratta del Maximum Perception Performance Festival, curato da Peter Dohill e Phoenix Lights ed ospitato dalla English Kills art gallery.

La galleria si prepara a mettere in scena più di 20 performance in due notti (venerdì 11 e sabato 12 novembre) dove si alterneranno un cospicuo numero di artisti nazionali ed internazionali. In realtà l’evento si contrappone duramente a Performa, gli organizzatori hanno infatti dichiarato di aver creato il Maximum Perception proprio per “creare una valida alternativa ad un evento sovrastimato e basato sul dilettantismo che sta praticamente rovinando l’immagine della performance art a New York City”. Certo l’accusa è decisamente pesante ma c’è da dire che lo scorso anno il debutto del Maximum Perception è stato decisamente di alto livello ed è ora giunto il momento di confermare l’alta qualità dell’evento.

L’arte crudele di Artur Zmijewski

 Il Moma di New York ospita fino al 28 febbraio un’interessante mostra dal titolo Projects 91: Artur Zmijewski, retrospettiva sull’artista polacco Artur Zmijewski che da anni indaga sulle norme ed i comportamenti sociali in maniera del tutto provocatoria e brutale. Nel suo video 80064, l’artista convince un anziano sopravvissuto allo sterminio di Auschwitz a farsi cancellare il numero di deportato che reca sul braccio da un tattoo artist. In un primo momento l’uomo sembra accettare ma davanti la telecamera ha dei ripensamenti per poi cedere alle volontà di Artur Zmijewski e farsi cancellare definitivamente il numero.

Dopo questo atto l’uomo sembra interdetto, non si capisce se egli sia contento od infelice di aver perso un così terribile ricordo che lo ha accompagnato per tutta la vita. Per quanto sia un estremo atto di violenza tale intervento artistico vorrebbe far riflettere sulla memoria (in questo caso dell’Olocausto) e sulla sua persistenza nel tempo.Anche se il numero tatuato sul braccio sia portatore di infausti ricordi, l’uomo non vuole privarsene, questo perché ricordare è fondamentale per non ripetere.  Non approviamo la scelta artistica di Artur Zmijewski, è innegabile che l’azione susciti molte riflessioni ed il conetto di memoria è fondamentale per la storia ma il procedimento usato per sviscerare il tema ci sembra abbastanza ripugnante.

Santiago Sierra dice NO a New York e ad Art Basel Miami

 La scorsa settimana i cittadini di New York saranno stati decisamente sorpresi quando all’uscita della metropolitana o passeggiando per le vie della città si sono ritrovati un camion con agganciato un cassone su cui era posta una scultura itinerante di Santiago Sierra. L’opera è costituita da sole due lettere che vanno a formare la parola NO, atto di dissenso generico che dopo lo stop a New York (e dopo aver già girato per tutta Europa) si dirigerà a sud verso Art Basel Miami.

Sierra ha inoltre ingaggiato una troupe cinematografica per documentare la scorribanda del suo NO attraverso le vie della grande mela. Durante la sua giornata newyorchese, l’opera di Santiago Sierra ha portato il suo deciso dissenso davanti al Palazzo delle Nazioni Unite e davanti al National Debt Clock, orologio-contatore posto sulla 44esima strada vicino Times Square che aggiorna i cittadini sull’ammontare del debito pubblico. La cifra sul contatore segna 14 trilioni di dollari e cresce di 10.000 dollari al secondo, il secco NO di Sierra si è stagliato ruvido e deciso contro il contatore, negando silenziosamente la spaventosa realtà a cui si trovava di fronte.

Paul McCarthy, Biancaneve e i sette porno nani?

Se vi fermate per un attimo a pensare all’istrionico Paul McCarthy sicuramente vi verrà in mente un’immagine dell’artista come l’avete osservato in decine di video e performance nel corso degli anni e cioè intento a ficcarsi in gola manciate di hot dogs zeppi di ketchup e maionese (come in Hot Dog del 1974) o magari preso a ballonzolare e mugugnare in giro con un naso da clown spruzzando della pittura su di una tela (come in Painter del 1995) o infine se pensate a Paul McCarthy vi viene in mente uno sporcaccione con un costume da Santa Claus con macchie di cioccolato annesse (come in Santa Chocolate Shop del 1996-97).

Insomma l’immagine che noi tutti abbiamo di Paul McCarthy ha sempre a che fare con bambole, salsicce, vaselina ed orifizi che non possono certo essere descritti in questo luogo. Ma recentemente, in occasione del progetto White Snow, in mostra alla galleria Hauser & Wirth di New York fino al prossimo 24 dicembre, l’artista ha rilasciato un intervista al New York Times, dando di sè l’immagine di una persona differente da come tutti pensavamo. McCarthy reduce da una frattura al femore è stato accompagnato da sua moglie e suo figlio, quest’ultimo si è occupato dell’installazione dei disegni in galleria, una serie dedicata alla favola di Biancaneve ed i sette nani con tutte le allusioni sessuali del caso ma prodotta in maniera decisamente interessante.

Terence Koh professore di storia dell’arte per un giorno

Performa 09 ha letteralmente scosso e preso d’assalto la scena dell’arte contemporanea newyorkese in questo novembre che si preannunciava privo di forti emozioni. Il successo della biennale della performance è da attribuirsi al sempre più crescente interesse che questa tecnica artistica suscita in pubblico e critica ed all’ottima capacità organizzativa della manifestazione che ha sciorinato una lista di eventi interessanti con la presenza di grandi nomi della scena internazionale.

Dopo l’ottima prova di Alterazioni Video e Marcello Maloberti che hanno ottenuto ottime critiche da parte della stampa newyorchese, Performa 09 è stata teatro la scorsa notte di una performance del tutto singolare al National Arts Club (che conta fra i suoi membri nomi del calibro di Robert Henri, Frederick Remington ed Alfred Stieglitz) dove l’estroso Terence Koh ha divertito e tenuto in scacco il pubblico durante Art History 1642-2009, una sorta di lezione sull’arte decisamente originale.

Reaganography, una mostra tutta su Ronald Reagan a New York

Per certi versi la figura del presidente americano Ronald Reagan ha avuto ed ha ancora a che fare con il nostro vissuto personale. Il presidente-attore scampato ad un assassinio e con una figlia (Patti Davis Reagan) che ha posato nuda su Playboy è stato infatti protagonista nel bene e nel male di vicende storiche che hanno cambiato il mondo. In tempi non sospetti il grande artista Joseph Beuys aveva musicalmente attaccato il presidente con la sua stravagante canzone Sonne statt Reagan una sorta di gioco di parole ed inno contro la corsa agli armamenti di Reagan.

Oggi la figura del presidente americano torna prepotentemente ad influenzare la sfera artistica contemporanea, dal 8 novembre al 6 dicembre infatti il No Globe Exhibition Space di New York ospita una stravagante mostra sulla figura di Ronald Reagan dal titolo Reaganography. La mostra oltre ad aprire un dibattito sulla politica del presidente si concentra sulla sua figura in un gioco estetico irriverente che la innalza a icona artistica.

Mary Mattingly e l’arte eco-sostenibile

Forse il nome di Mary Mattingly non vi dice nulla ma l’artista in questione si è guadagnata una buona dose di celebrità la scorsa estate quando ha deciso di passare tutta la bella stagione su di un eco-battello ancorato al porto di New York. Il Waterpod, questo il nome della chiatta, era un’abitazione galleggiante in grado di sostenersi da sola con pannelli solari e orticelli coltivati con una nutrita varietà di frutta e verdura.

Durante il suo progetto artistico Mary Mattingly ha ospitato altri artisti formando un piccolo equipaggio in grado di creare un piccolo ed estemporaneo collettivo artistico. Una volta esplorato il mare l’artista ha però deciso di lanciarsi verso gli spazi celesti con un nuovo progetto chiamato Air Ship Air City.

Al MoMa i film che non proiettano nei cinema sotto casa vostra

 Chissà quante volte vi sarà capitato di voler vedere un bel film di quelli impegnati ma puntualmente il cinema sotto casa vostra ( che solitamente proietta solo films commerciali ) non ha in programmazione il film prescelto. Evidentemente anche ai curatori del Moma di New York questa vicenda sarà capitata un milione di volte visto che dal 19 al 22 novembre prossimo il celebre museo ospiterà la quarta edizione di Best Film Not Playing at a Theater Near You che in italiano suona appunto come Il miglior film mai proiettato in un cinema vicino casa vostra.

La rassegna è in realtà una serie di proiezioni dei 5 films nominati per l’IFP Gotham Independent Film Award il cui vincitore verrà proclamato il prossimo 30 novembre. La mostra è una collaborazione tra il dipartimento di cinema del MoMa, la organizzazione no profit di cineasti indipendenti (IFP) e la celebre rivista di cinema FIlmmaker Magazine. I films in mostra sono sono frutto dell’industria indipendente americana e sono stati girati nel 2009 ma mai proiettati in un cinema.

Peru Ana Ana Peru, la street art in galleria non perde la sua potenza

 La street art, lo dice già il suo nome, deve la sua fama e la sua potenza espressiva al contesto metropolitano. E’ nella strada che graffiti, murales, posters e stencils trovano terreno fertile per comunicare al meglio una rabbia artistica ed una carica estetica capace di affascinare l’intero mondo dell’arte. Solitamente però, quando la street art viene costretta all’interno delle mura di una galleria, perde i suoi magici poteri, come depressa da un ambiente artificiale ed artificioso non consono alla sua proverbiale bramosia di libertà.

Diciamo solitamente poiché non è questo il caso di Peru Ana Ana Peru, duo artistico in netta ascesa ed attualmente alla Brooklynite Gallery di New York con una mostra dal titolo quanto mai estroso:…And Then We Jumpted Into the Abyss of Numbers: Memories in Absurdity from the Bowels of…Peru Ana Ana Peru. I due artisti propongono un universo dai colori sgargianti dove ruotano immagini assurde e psichedeliche con un tocco di horror. L’anima street non perde la sua natura selvaggia poiché Peru Ana Ana Peru ripropongono esattamente ciò che solitamente creano in strada, anzi si potrebbe dire che alla Brooklynite le loro opere ci sembrano ancor più fantastiche e pervase da un luminoso senso dell’assurdo e del grottesco.

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