Il grande bluff della curatela all’italiana

Nel sistema dell’arte contemporanea Made In Italy ed in particolar modo all’interno della scena curatoriale c’è qualcosa che non va, qualcosa che la sottoscritta non riesce proprio a digerire ma per meglio analizzare questo profondo stato di malessere bisogna initiare ab ovo. Durante la fine degli anni ’90 e sino al 2005 (circa), la pratica curatoriale nel nostro bel paese ha subito una brusca sterzata, trasformandosi in qualcosa di molto simile alla professione di P.R.

Alcuni curatori hanno mantenuto una visione per così dire critica, perseguendo un tradizionale percorso fatto di saggi, testi, esperienze sia domestiche che oltreconfine, fino al conseguimento degli strumenti  necessari per emergere, misurarsi e “fare sistema”. Altri invece, come si diceva, hanno preferito darsi alle pubbliche relazioni ed al management,  promuovendo artisti a iosa (con scelte discutibili) e promettendo mari e monti alle gallerie private per poi deluderle sistematicamente al mancato arrivo di collezionisti dotati di moneta sonante. Infine c’è chi ha scelto di ricavarsi una figura professionale starting from scratch, illudendo ed illudendosi sul fatto di poter assurgere al ruolo di consulente onnipotente/onnisciente, quando di fatto il nostro mercato era già ottenebrato da scelte operative del tutto inconcludenti.

Come esporre al Metropolitan Museum? lo svela William Powhida con il gioco dell’arte

Dei meccanismi poco chiari della nostra scena dell’arte contemporanea ne abbiamo parlato spesso e volentieri, anche ieri del resto è apparso fra queste pagine un articolo riguardante vizi e peccati del sistemone nazionale. Va detto però che il resto del mondo non è certo immune a questi celeberrimi tic. Negli Stati Uniti ad esempio, l’artista e cartoonist William Powhida è da tempo impegnato in una ricerca tesa a svelare le nevrosi del sistema americano.

Questa volta Powhida ha deciso di creare un vero e proprio gioco da tavola intitolato The Game, una sorta di gioco dell’oca che ha come scopo principale il conseguimento della più alta onorificenza per un artista, vale a dire la retrospettiva di mid career al MET di New York. Ad aiutare il giocatore nella sua lunga avventura verso la celebrità vi sono alcune figure dell’artworld americano, selezionabili tramite i dadi. Ad esempio è possibile incontrare insigni critici come Roberta Smith, Jerry Saltz, Christian Viveros-Faune, James Kalm ed una Power Card rappresentata da Hans-Ulrich Obrist. Ovviamente questi nomi sono raggiungibili tramite il lancio dei dadi ed i critici più in vista concedono più poteri al giocatore.

Cadrà il berlusconipensiero dell’arte contemporanea?

Qualcuno ne ha contati 17, forse per avvicinarli idealmente ad un altro ventennio poco felice per la nostra storia. In realtà sono meno di 10 ma non è questo il punto nodale. Parliamo ovviamente del governo del presidente, di quel Silvio Berlusconi furioso che nel bel mezzo del passato week end ha lasciato la sua poltrona con tanto di addio televisivo.

La caduta dell’imperatore ha lasciato spazio a festini in piazza, trenini stile capodanno, esultanze da scudetto insperato. Il popolo festeggia così ed anche noi non possiamo che dirci contenti. Dopo la gioia incontrollabile segue però il momento della riflessione, l’analisi di ciò che questo “cambio epocale” (come lo definisce la Repubblica) può significare per il nostro paese. Berlusconi cade ma non cade il berlusconismo, un comportamento che nasce dal seno stesso dell’Italia degli anni ’80 e che non può essere sradicato con la caduta di un governo. Berlusconi ha creato il berlusconismo ma già da tempo questa potente arma gli era sfuggita di mano, innescando parabole incontrollabili all’interno della massa fino ai vertici dello Stato.

Arte contro tutti, quando la scena diventa troppo esclusiva

 
Patinato ed allo stesso tempo ultra-esclusivo, il mondo dell’arte contemporanea non è mai stato così incastrato in tic e contraddizioni come in questi ultimi tempi. Al grido di “l’arte non può essere accessibile a tutti”, parafrasando un seppur ben più illuminato Carmelo Bene, le direzioni di molte prestigiose manifestazioni fieristiche hanno da tempo deciso di operare una scrematura delle gallerie partecipanti, permettendo l’accesso in fiera solamente a quei dealers che a loro parere rappresentano la creme de la creme della scena. Chi non fa parte della lista non può essere considerato un attore principale del mercato.

Lo stesso dicasi per molti premi e concorsi d’arte che hanno scelto di istituire una formula a chiamata diretta. Gli artisti invitati sono accuratamente scelti dai selezionatori e solitamente sono spalleggiati da gallerie private che “contano”. Nessun’altro può partecipare ed il pubblico da casa può solo leggere sui magazine del settore il nome dei vincitori dei tanto agognati premi. Nella peggiore delle ipotesi anche le cerimonie di premiazione sono a numero chiuso.

Le previsioni per i prossimi venti anni

Come si evolverà l’arte contemporanea nei prossimi venti anni? sembrerebbe la domanda del secolo ma è sicuro che in molti vorrebbero avere la risposta giusta per imbrigliare il mercato o semplicemente per scrivere un illuminante trattato. Ovviamente l’arte cammina di pari passo con la tecnologia ed è innegabile che le nuove scoperte nel campo dell’elettronica potrebbero dar vita a nuove metodologie e nuove estetiche che noi neanche immaginiamo, non si parla di digital art ma di qualcosa di molto più articolato.

Possiamo però tirare alcune somme in base ai trend di questi ultimi anni e stilare un’ipotetica lista delle caratteristiche salienti dell’arte del futuro. La pittura figurativa ad esempio è in grande difficoltà, non è escluso quindi un sostanziale ritorno all’astratto da cui potrebbe partire in seguito una corrente, in netta contrapposizione, qualcosa che in sostanza miri a minare il concetto stesso di immagine. La struttura della galleria d’arte privata potrebbe ricalcare quella del franchising, come già lascia intendere l’invasione a tutto tondo dei grandi brands come Gagosian.

Artisti che offendono altri artisti

Esistono ancora artisti propositivi? esistono ancora creativi dotati di senno e sana voglia di emergere al posto del solito carburante a base di rabbia, invidia ed accidia? La risposta è si, ve ne sono parecchi e la scrivente ha persino avuto l’onore di poter lavorare con alcuni di essi, nella sua pur breve carriera.

Sussiste però nel nostro belpaese una frangia ostile di artisti o presunti tali che riempie le testate giornalistiche, i blog ed i magazine del contemporaneo di accuse ed ingiurie rivolte a questo o a quel rivale in arme, tacciandolo spesso di nepotismo o di totale incompetenza. Questa categoria sociale ha il pregevole vezzo di non risparmiar niente e nessuno, gettando nel calderone infernale critici, giornalisti, artisti, galleristi e curatori, in nome della verità e con l’ambizione di svelare inciuci e giretti del sistema nazionalpopolare i quali non sono poi così nascosti.

Attilio Scarpellini e la scomparsa della realtà nell’arte contemporanea

Lo scorso sabato ho avuto il piacere di presentare la conferenza di Attilio Scarpellini, tenutasi in occasione della giornata finale del Premio Combat ai Bottini dell’olio di Livorno. Scarpellini ha ultimamente pubblicato un interessantissimo testo dal titolo L’Angelo Rovesciato, Quattro saggi sull’11 settembre e la scomparsa della realtà. Scarpellini oltre ad essere critico di teatro e saggista, è uno dei fondatori dell’Associazione Indipendente di giornalisti Lettera 22 e tra gli animatori della rivista di critica on-line La differenza, nata all’interno del movimento del Teatro Indipendente per volere dell’artista Gian Maria Tosatti. L’autore ha inoltre condotto su Radio Tre Rai la trasmissione di approfondimento culturale Mattino Tre/Lucifero.

Nel suo libro Scarpellini riprende alcuni dei temi e degli snodi concettuali che hanno segnato il recente dibattito sulla crisi della contemporaneità come la critica dell’ultimo Baudrillard a un’arte che non si distingue più dal mondo come i media lo presentano e la presenza di un’estetica che, abbandonata completamente l’idea di esperienza, celebra ogni giorno il suo 11 settembre nella forma di un’apocalisse della realtà.

OPERE/works 2010 al festival dell’arte Contemporanea di Faenza

Con la sua terza edizione OPERE/works il festival dell’arte Contemporanea di Faenza mette dal 21 al 23 maggio l’opera d’arte al centro del dibattito e della relazione con lo spettatore. Cosa rappresenta l’opera d’arte ai nostri giorni? Quale è il suo ruolo nella società? Espressione di un determinato contesto culturale e sociale o della biografia dell’artista, l’opera è stata nei secoli mezzo di comunicazione, veicolo didattico, strumento del potere, oggetto votivo, atto di denuncia, portatrice di innovazione, scardinamento del linguaggio, avanguardia…

L’arte contemporanea, negli ultimi anni, ha conquistato un grande, positivo ascendente sul pubblico, confermando il proprio ruolo di interprete della società e dei suoi mutamenti, ma spesso è stata anche identificata con fenomeni di costume, puro entertainment, glamour a tutti i costi, incoraggiando un rapporto di subalternità tra significato e necessità mondane. Anche a fronte di una crisi economica che sembra essere diventata l’imperativo categorico di tutti i settori, non ultimo quello dell’arte e della cultura contemporanea, ciò che viene richiesto è il recupero di un sistema di valori che consolidi un approccio più diretto ed autentico con il fruitore e tra coloro che contribuiscono, con il proprio lavoro, a tradurre le idee in opere. Come lo stesso successo del festival, – un momento in cui non si vede l’arte, ma si parla e si riflette sui suoi messaggi – ha dimostrato, cresce l’esigenza di recuperare un’esperienza dell’arte autentica e di tornare a ragionare sui suoi messaggi.

Luca Rossi, intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche

Micol Di Veroli e Luca Rossi presentano un’intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche, senza troppi convenevoli. Un confronto attivo mirato a chiarire posizioni e cercare nuove soluzioni qualora ce ne fossero.

MDV – Mi trovo in sintonia con molte delle tue dichiarazioni presenti sul blog Whitehouse ed è tristemente vero che le nostre giovani leve sono ormai simili a replicanti di altri artisti del panorama internazionale. Nel peggiore dei casi la nostra giovane arte si ritrova  a produrre formazioni estetiche stile Ikea prive di ogni significato, nell’assurda e vana ricerca di un ermetismo che confonda le acque, sperando che lo spettatore non riesca ad agganciare un qualche riferimento colto del tutto inesistente. Io trovo che il vero problema risieda nella mancanza di documentazione e di studio, tu cosa ne pensi?

LR – Mancanza di studio, ma anche malafede più o meno consapevole. O consapevolezza di non poter/voler fare altro nella vita che un lavoro (apparentemente) eccitante e comodo come quello del “giovane artista”. Inoltre in italia viene vissuto un complesso di inferiorità sull’essere italiani. Questo favorisce una certa esterofilia e il mantenimento di un profilo basso, silenzioso e colto. Quindi assenza di un confronto critico, perchè sia ha sempre paura di essere i soliti italiani “bar sport” e polemici. Questo porta problemi di relativismo dove “tutto può andare” ed essere accettato e giustificabile. In fondo l’arte contemporanea viene vista (da alcuni) come materia “hobbistica”.  Queste dinamiche portano risultati mediocri; nel migliore dei casi buoni standard sviluppati come “compie sbiadite” di quello che avviene sulla scena internazionale.

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