Per il titolo della sua prima esposizione personale a Roma che inaugura il 17 marzo presso T293 Claire Fontaine s’ispira al libro di vari autori uscito nel 1971 presso la casa editrice Arcana che non fu sequestrato dalle forze dell’ordine solo perché tutte le sue copie erano già esaurite quando l’azione fu lanciata. Ripubblicato in seguito da Castelvecchi, ed oggi da Derive Approdi, il libro racconta ricette per azioni sovversive o per la riappropriazione del proprio corpo ed il controllo della salute. Imbevuto del clima di un’avanguardia già quasi al tramonto il testo multicolore scritto da più mani lambisce anche l’avventura delle droghe e della resistenza attiva agli attacchi delle forze dell’ordine quando il movimento li poteva ancora fronteggiare.
Ma l’amor mio non muore è in questa esposizione anche il titolo ed il testo di un’insegna al neon che esprime la speranza e la fede in un avvenire di libertà, dal mezzo di un’epoca scoraggiante in cui resistere è difficile e pericoloso. Claire Fontaine scriveva nel 2006 che “le ragioni di un amore che non muore affondano spesso nel passato più che nel presente. Forse perché l’amore non ha, per così dire, il senso della realtà, ma ha il senso del possibile, è parente stretto del non ancora e del non più. Che noi amiamo il comunismo – e che lo amiamo ancora – vuol dire che per noi il futuro esiste e non è soltanto la proprietà privata dei dominanti di oggi o di domani. Vuol dire che l’amore che alimenta il passaggio del tempo, che rende possibili i progetti ed i ricordi, non è possessivo, geloso, indiviso, ma collettivo; che non teme né l’odio né la rabbia, non si rifugia disarmato nelle case, ma percorre le strade ed apre le porte chiuse.”